La Stampa 20.12.18
Il populismo alla messicana di Obrador tra promesse e lotta alla globalizzazione
di Juan Luis Cebriàn
La
frase più ripetuta oggi in Messico, che in rete ha generato centinaia e
persino migliaia di meme, l’ha pronunciata il nuovo presidente il
giorno del suo insediamento lo scorso primo dicembre: «Me canso ganso». È
un’espressione gergale per dire che quanto detto accadrà con assoluta
certezza. Lopez Obrador (noto come Amlo) ha ribadito nel suo discorso le
promesse fatte in campagna elettorale: fine della corruzione, giro di
vite sugli stipendi dei dipendenti pubblici, ripristino dell’ordine,
rilancio dell’economia devastata dal saccheggio neoliberista, anche se
ha annunciato che non darà la caccia ai ladri e costruzione di un nuovo
aeroporto per sostituire quello attualmente in costruzione. I lavori in
corso devono essere bloccati in base ai risultati di una consultazione
popolare fatta prima che lui assumesse il potere. Andò a votare in quel
referendum meno del due per cento degli aventi diritto e solo un
milione, su 90, lo fece a favore di quella decisione.
«Me canso
ganso» (lett. mi stanco come l’oca, significa «ci potete scommettere»,
«ve lo garantisco» n. d. t.) il presidente l’ha ripetuto fino alla
nausea in ciascuna di queste occasioni. E forse, però, finirà davvero
per stancarsi, viste le difficoltà legate all’annullamento dei contratti
aeroportuali. I lavori sono stati appaltati diversi anni fa e il loro
costo è stato valutato in 6 miliardi di dollari, in gran parte
finanziati da un’emissione obbligazionaria collocata soprattutto sui
mercati internazionali. Lo stop, che il governo non ha ancora
formalmente decretato per evitare una violazione del contratto,
costringerebbe a riacquistare il debito dagli obbligazionisti e, secondo
questi ultimi, a risarcire i danni. Secondo il calcolo di esperti
finanziari indipendenti rispetto ai cento miliardi di pesos (5 miliardi
di dollari) stimati dal governo per normalizzare il processo, gli
obbligazionisti chiederebbero una somma all’incirca doppia. In mancanza
di un accordo i gestori dei fondi sembrano disposti ad andare in
tribunale in caso di default, con conseguenti danni per la reputazione
del Paese, già indebitato per 75.000 milioni di euro e impegnato a
finanziare i miglioramenti sociali che il presidente ha promesso in
campagna elettorale.
La questione dell’aeroporto, insieme ad altre
misure minori ma significative come la riduzione delle commissioni
bancarie, molte del tutto abusive, ha minato la fiducia dei mercati e
fatto crescere lo spread, anche se il cambio della valuta per ora non ne
ha molto risentito. L’annuncio del blocco dei lavori ha portato,
secondo alcune voci, alle dimissioni del ministro delle Finanze, Alfonso
Romo, che in linea di principio avrebbe avuto pieni poteri sulla
politica economica. Dimissioni respinte dal presidente.
Con il
controllo della maggioranza del parlamento, i vecchi partiti di
opposizione disorientati, e un’opinione pubblica condizionata da mezzi
che dipendono in gran parte dal bilancio pubblico, sembra che la
principale opposizione che il nuovo governo deve affrontare sia quella
degli investitori internazionali, tra cui spicca la presenza di
Blackrock.
Il mega-fondo nordamericano è il primo investitore
privato in Messico, il Paese sul quale ha scommesso più di due anni fa, e
il primo detentore delle obbligazioni dell’aeroporto. Controlla inoltre
la compagnia petrolifera Pemex, gran parte del debito estero del Paese e
ha un portafoglio così diversificato da essere perfino proprietario di
un carcere privato a Coahuila. Se il conflitto non sarà risolto in modo
soddisfacente, la guerra giudiziaria scatenata dai fondi internazionali
contro lo stato messicano potrebbe portare a una situazione simile a
quella dell’Argentina sotto il governo di Cristina Kirchner, da cui il
Paese non si è ancora ripreso.
Durante il suo discorso il
presidente ha a malapena accennato alla politica estera, sulla quale è
evidente che non ha alcuna posizione. L’unico problema internazionale
rilevante per lui è il rapporto con gli Stati Uniti. Testimoni oculari
attestano buone relazioni personali con Trump, forse perché entrambi
sono maestri di incontinenza verbale. Le differenze ideologiche non
impediscono loro di concordare su un punto: entrambi si presentano come i
buoni della politica, difensori dei lavoratori contro gli effetti
perversi della globalizzazione.
La nuova formulazione del trattato
di libero scambio del Nord America, firmato prima dell’inizio della
presidenza, ma con la garanzia della nuova squadra di governo, ha,
tuttavia, un prezzo da pagare, mai ufficialmente riconosciuto: la
promessa che il Messico garantisca di contenere l’ immigrazione
irregolare dall’America centrale verso gli Stati Uniti. L’immigrazione e
il debito, insieme alla lotta contro la criminalità e al narcotraffico
richiedono un’attenzione speciale da parte della nuova squadra di
governo. Sono sfide importanti e non facili da vincere.
López
Obrador ha enfaticamente annunciato che il suo programma di risanamento e
di rinascita non apre la porta a una nuova fase del governo, ma a un
nuovo corso. E non smette di criticare il Pri, il Partito Rivoluzionario
Istituzionale, nel quale ha iniziato la sua carriera politica. Ma
questo nuovo regime presenta aspetti che evocano un ritorno al passato.
Sono in molti a dire che Amlo ricorda Echeverría, l’ultimo presidente
rappresentativo del classico Pri. Responsabile del massacro di
Tlatelolco nel 1968, concluse la sua carriera politica avvolto da
un’aureola di uomo di sinistra alla testa del Consiglio mondiale per la
pace, finanziato dall’Unione Sovietica e allo stesso tempo divenne un
confidente della Cia.
Contrariamente a lui, López Obrador è un
uomo onesto. Le sue capacità di leader e trascinatore di folle sono
innegabili, ma è anche molto più imprevedibile di qualsiasi suo
predecessore. Approdato al potere dopo lunghi anni di lotta per la sua
conquista, emana una certa ingenuità morale che gli conferisce un
profilo di salvatore della madrepatria molto apprezzato dal messicano
medio. Il suo «me canso ganso» ne spiega chiaramente la testardaggine
nell’azione e il desiderio di adempiere a ciò che promette. La frase
deriva dal fatto che le oche eseguono lunghi voli migratori in stormi e
si alternano alla guida del gruppo per aiutare il capo del viaggio e
distribuire lo sforzo tra tutti. Il raggiungimento degli obiettivi che
Amlo ha proposto richiederà una compagine di governo compatta e
disciplinata, caratteristiche che molti dubitano appartengano
all’attuale squadra. Forse per questo nel discorso inaugurale ha
promesso che a metà mandato avrebbe indetto una consultazione, tra le
molte altre annunciate, sulla sua permanenza o meno a capo del Paese,
nello stile del referendum «revocatorio» di Chavez in Venezuela. Segnali
di instabilità e spunti populisti che non lo aiuteranno affatto nella
sua guerra con i mercati, se esploderà.
traduzione di Carla Reschia