La Stampa 18.12.18
Quando siamo diventati “teste rotonde”
In due geni le differenze tra noi e i Neanderthal
“L’evoluzione ha plasmato la forma e i pensieri”
di Marta Paterlini
Caratteristiche
distintive degli esseri umani moderni sono la scatola cranica e il
cervello di forma arrotondata: questa globularità - come si dice in
gergo - si è evoluta gradualmente, in modo indipendente dal volume
cerebrale. Anche i più antichi fossili di Sapiens, ritrovati a Jebel
Irhoud, in Marocco, e risalenti a 300 mila anni fa, avevano un volume
endocranico come quello di un umano contemporaneo, ma la forma era
allungata. Sarebbe, quindi, più una questione di forma che di volume una
delle differenze-chiave tra noi e i cugini Neanderthal.
La
transizione verso la globularità riflette, probabilmente, i cambiamenti
evolutivi nell’organizzazione delle strutture del cervello e forse nel
modo in cui le aree si sono connesse. «Tuttavia il tessuto cerebrale non
si fossilizza e quindi la biologia di base è rimasta elusiva. Finora -
spiega Philipp Gunz, paleoantropologo del Max Planck Institute di Lipsia
-. Ecco perché abbiamo cercato le risposte con un approccio
interdisciplinare, riunendo l’analisi di crani fossili, delle sequenze
di genomi antichi che hanno contaminato quelli moderni, di imaging
cerebrale e di genetica molecolare. Così si ottiene una finestra su come
il cervello sia cambiato in 300 mila anni».
Tracce sepolte
In
ognuno di noi è sepolta qualche traccia di Neanderthal, tra l’1 e il 2%
del Genoma. «Sfruttando la nostra Neanderthalianità, abbiamo voluto
capire se qualcuno di questi frammenti spinga verso una forma cerebrale
meno globulare - continua Gunz -: abbiamo identificato due frammenti di
Dna di Neanderthal che, ritrovati nel Genoma dell’uomo moderno, rendono
la forma cerebrale leggermente più allungata. Abbiamo quindi scoperto
che su questi frammenti si associavano sottili alterazioni
nell’espressione genica. Per i portatori della componente
neanderthaliana nel gene Ubr4, che promuove la neurogenesi (la
generazione di neuroni), abbiamo individuato una piccola diminuzione
dell’attività nel putamen, la porzione esterna dei gangli della base.
Per Phlpp1, invece, un gene che riduce la crescita di mielina intorno
agli assoni, abbiamo osservato un aumento dell’attività nel cervelletto.
Entrambi, putamen e cervelletto ricevono input diretti dalla corteccia
motoria e sono quindi coinvolti nella preparazione, nell’apprendimento e
nella coordinazione senso-motoria del movimento».
Il tratto multifattoriale
Questi
effetti genetici sono interessanti, perché putamen e cervelletto sono
strutture che possono contribuire ai cambiamenti nella forma del
cervello stesso. «Nel confronto tra Neanderthal e umani la variazione
del cervelletto e quella delle regioni al di sotto dei lobi parietali
rappresenta una significativa proporzione della differenza morfologica
tra le due specie», commenta Gunz. Il suo è il primo studio sulla
globularità, che è un «tratto multifattoriale»: la forma cerebrale
dipende dall’interazione tra crescita dell’osso cranico, dimensione del
viso e modalità del neurosviluppo. È quindi probabile che ci siano altri
geni da scoprire. Al Max Planck, perciò, si vuole aumentare il numero
di campioni da sequenziare.
«I due geni suggeriscono nuove idee
sull’evoluzione: gli psicobiologi hanno sempre sostenuto che la
corteccia prefrontale fosse uno dei tratti più distintivi, e sviluppati,
dell’uomo moderno», spiega Gunz. Il cranio dei Neanderthal presenta
invece una corteccia prefrontale dalla volta più bassa e ciò ha fatto
supporre che le abilità nei processi decisionali e nei comportamenti
sociali possano essere state più scarse. E tuttavia «l’aumento della
dimensione del cervello, da solo, non è sufficiente per spiegare le
caratteristiche uniche della nostra specie. Antropologi e
neuroscienziati hanno riesaminato il ruolo dei gangli della base e del
cervelletto nel supportare aspetti cruciali della cognizione e del
comportamento - conclude Gunz -. Naturalmente non sminuiamo i contributi
della corteccia, ma è essenziale considerare altre aree che hanno
influenzato l’evoluzione».