martedì 18 dicembre 2018

Il Fatto 18.12.18
I troppi papirologi improvvisati
di Filippomaria Pontani


“Una parte della magistratura si arroga il diritto di decidere della scienza”: le dure parole della senatrice Elena Cattaneo contro i giudici che, senza competenza di merito, avallarono le cure del metodo Stamina, si attagliano bene al pronunciamento della Procura di Torino sul papiro di Artemidoro. Un documento ricco di errori d’ortografia e di merito (per es. Khashaba Pasha pare una città dell’Egitto, ma è il donatore del Museo di Asyut), che già a pagina 1 assimila una rivista specialistica come Museum Helveticum e un quotidiano come la Frankfurter Allgemeine Zeitung: un fondo di giornale e un articolo di filologia sono “stampa internazionale” alla stessa stregua. Nell’ultima pagina si citano le analisi sugli inchiostri del papiro prima ancora che esse siano concluse e pubblicate, insomma per sentito dire da una imprecisata comunicazione di Piero Gastaldo (cosa saranno le “reti di zinco” di cui si parla?), mentre si tace dell’articolo del 2010 sulla rivista scientifica americana Radiocarbon, che definisce gli inchiostri senz’altro compatibili con quelli usati nel I-II secolo d.C.
Così, tra le “prove” acquisite dal giudice Spataro figurano le didascalie del Museo di Antichità di Torino (apposte da solerti dipendenti del Museo), alcuni scritti di Luciano Canfora e della sua scuola (per lo più apparsi in sedi editoriali di Bari, Catania, Palermo, San Marino, direttamente o indirettamente controllate dal Canfora stesso), le risultanze di una conversazione tra il giudice e il medesimo studioso (19 maggio 2017), e la sbobinatura di un incontro bolognese del 2013; vengono ignorati, come se non esistessero, i tanti articoli su rivista e i convegni internazionali (con atti apparsi in sedi scientifiche indipendenti) di Oxford, Roma, Firenze, in cui dozzine di studiosi hanno affrontato molteplici aspetti del papiro, dal testo ai disegni “artistici” alla presunta mappa della Spagna, per lo più confutando o accantonando gli argomenti di Canfora.
S’ignorano anche le repliche – punto su punto – ai “furied attack” (come ebbe a dire un infastidito Martin West, principe dei filologi del Novecento) di Canfora e dei suoi allievi, come quella prodotta da Carlo Martino Lucarini su Philologus del 2009, o la magistrale analisi di Giambattista D’Alessio sulla Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik dello stesso anno. Né si accenna all’inverosimiglianza che l’artefice del manufatto possa essere il greco Konstandinos Simonidis, un falsario ottocentesco che non aveva le competenze e le abilità tecniche, paleografiche e filologiche per comporre un oggetto di questo genere, e che nelle più recenti versioni della claudicante teoria barese (forse ignote a Spataro) sarebbe stato seguíto da almeno un secondo truffatore: le figure di animali sul verso del papiro risalirebbero agli anni 70 del XX secolo (!), mentre trovano ottimi confronti nei disegni sicuramente autentici pubblicati nell’ultimo volume dei Papiri di Ossirinco (83, 2018).
A un certo punto del documento della Procura, dopo pagine e pagine che cercano di scovare qualcosa di sospetto nell’acquisizione del papiro (complessa e a tratti controversa come quella di tanti reperti di questo tipo), e mentre si mantiene sempre aperto il piano B (forse il papiro è davvero autentico, ed è stato acquisito in modo illegittimo), sboccia la sentenza di Spataro: “Canfora sostiene motivatamente” (p. 22): in assenza di perizie di esperti terzi, temo la sua parola abbia tanto peso quanto la mia in materia di procedura penale.
La vicenda dice molto anche di certa parte dell’accademia italiana: un luogo di baroni e di ombre, nel quale i “capibastone”, ben protetti dal sistema delle Consulte e della grande stampa, cercano di ottenere per via mediatica e ora anche giudiziaria quel consenso che non hanno raggiunto per via scientifica: telefonano a destra e a manca, inviano a tutti i colleghi articoli e pamphlet irricevibili contro chi osa argomentare un’altra posizione, mentre colleghe dal cognome importante, digiune di papirologia, decantano su un grande giornale la loro vittoria. Un’ottica di clan, di occupazione militare dello spazio che atterrisce chi s’interessa non ai tribunali né ai giornali ma alle tante questioni poste dal papiro, ed è convinto – al contrario di Spataro – che i molti e gravi “problemi aperti” lasciati dalla prima edizione del papiro non siano necessariamente una prova della sua falsità.
Le provocatorie teorie di Canfora sono in se spesso utili per mettere a fuoco delle difficoltà e per alimentare il dibattito critico, anche quando non riescano persuasive (varie sue tesi di storia contemporanea sono state confutate da grandi studiosi come Giancarlo De Vivo, Angelo Ventura e altri). È triste che vengano accompagnate dal dileggio degli avversari, dall’autoreferenzialità, dalla protervia.