martedì 18 dicembre 2018

La Stampa 18.12.18
Parlamento a rischio irrilevanza
di Ugo Magri


I quasi mille parlamentari che abbiamo eletto a marzo, e che ci costano un miliardo e mezzo all’anno per tenerli lì, approveranno la legge di Bilancio a scatola chiusa, senza discuterla, forse senza nemmeno averci dato un’occhiata. Non ne avranno la possibilità perché la manovra 2019 va per forza approvata entro fine mese, sennò l’Italia piomberebbe nel limbo dell’esercizio provvisorio e forse nel caos dei mercati finanziari. Mancano solo 13 giorni alla scadenza, festività comprese. Eppure il testo definitivo ieri non era ancora pervenuto in Senato perché lo stavano correggendo a Bruxelles; e quando finalmente tornerà indietro, forse oggi, l’esame in commissione si annuncia come un semplice «pro forma»; così pure in aula, dove il dibattito verrà strozzato dal voto di fiducia. Poi, dopo Palazzo Madama, nuovo giro alla Camera per il timbro finale; e anche lì sarà un prendere o lasciare, con l’aggravante che l’8 dicembre scorso i deputati avevano già approvato un testo rivelatosi farlocco, quindi senza fiatare ne dovranno votare uno nuovo, largamente riscritto secondo i dettami europei.
Per certi aspetti può andar bene così: guai se arrivasse una procedura di infrazione per debito eccessivo. Pagheremmo per anni multe spropositate e ci troveremmo gli ispettori Ue dentro casa. Nonostante i sovranisti al volante, diventeremmo per paradosso un Paese a sovranità limitata.
Dunque meglio che la trattativa europea abbia dato i suoi frutti, sia pure in extremis e sull’orlo del precipizio. Ma se fosse stata avviata a tempo debito, senza inutili tatticismi, evitando toni sopra le righe e virilismi fuor di luogo, il governo adesso non si troverebbe con l’acqua alla gola; e ai rappresentanti del popolo resterebbe il tempo necessario per approfondire la manovra. Evidentemente, chi ha condotto le danze con le autorità europee aveva priorità di altra natura. Soprattutto ai vice-premier interessava portare a casa le risorse necessarie per «quota 100» e reddito di cittadinanza, riuscirci era questione di vita o di morte in vista delle prossime elezioni europee. Permettere invece alle Camere una serena riflessione, nella prospettiva di Salvini e Di Maio non aveva la stessa priorità. Rappresentava, probabilmente, l’ultima delle preoccupazioni.
Il guaio è che di questo passo il Parlamento muore. A cosa serve mantenerlo in vita, se nelle sue aule nemmeno si discute come spendere i soldi dei cittadini, dove andarli a rastrellare, se è giusto o no gravare di debiti le generazioni future? Come si può pretendere che gli eletti recuperino prestigio, agli occhi degli elettori, se le loro osservazioni vengono considerate superflue o fastidiose, se addirittura i tecnici di Bruxelles dimostrano di avere più voce in capitolo? Viene addirittura il sospetto che l’obiettivo sia proprio questo: affondare nel discredito la democrazia rappresentativa per sostituirla con una formula referendaria, plebiscitaria, social o, come usa dire, «dal basso». Il ministro della democrazia diretta, Fraccaro, ha presentato alcune pregevoli proposte che vanno tutte in questa direzione. Addirittura Beppe Grillo ha suggerito che, invece di eleggere i parlamentari, si potrebbe procedere per sorteggio in quanto la casualità statistica fornirebbe una rappresentazione più fedele del corpo sociale. Ricorda tanto il suo nemico Berlusconi quando dieci anni fa teorizzava che, in fondo, di deputati e senatori non c’è bisogno, basterebbe far esprime un rappresentante per partito col suo bel pacchetto di voti, e legiferare così: sai quanto più in fretta si farebbe. Allora si levarono girotondi e proteste; oggi invece l’ex premier non susciterebbe lo stesso scandalo in quanto è diventata «vox populi» che i membri del Parlamento siano troppi, ne basterebbero la metà, forse addirittura un quarto; e si dovrebbero mettere le briglie al collo di quanti ne fanno parte, chiamandoli a rispondere delle proprie opinioni, revocandoli se si dimostrano autonomi, condannandoli a pagare penali nel caso si dissociassero. Trattare le Camere come «parco buoi» è diventato la regola, mentre perfino chi dovrebbe reagire prudentemente tace.