La Stampa 17.12.18
Il dragone rallenta la crescita
di Mario Platero
Siamo
a una svolta: la debolezza economica cinese oggi preoccupa molto più
delle tensioni commerciali con l’America, che pure hanno già fatto danni
ingenti. Se una retorica protezionistica aggressiva può rientrare da un
momento all’altro a seconda degli umori di Donald Trump, un
rallentamento dell’economia cinese - dovuto anche alle tensioni
commerciali - non si fermerà da un giorno all’altro. E peggiorerà
l’indebolimento dell’economia europea. Del resto da noi in Europa il
quadro era già preoccupante: l’indice europeo per l’attività dei
direttori acquisti è caduto in novembre al 52,4, il minimo in quattro
anni. In Italia lo stesso indice è caduto dal 49,2 al 48,6 un livello
che conferma una nostra contrazione economica. Questo già rendeva
improbabile una ripresa per il quarto trimestre dopo le debolezze del
terzo. Se alla promessa della Bce di far rientrare il «bazooka» con la
fine dell’anno aggiungiamo ora l’indebolimento del tasso di crescita
cinese, le prospettive a breve medio termine europee non possono che
peggiorare, con una situazione di particolare fragilità per l’Italia: in
tempo di crisi gli investitori cercano una fuga dal rischio verso la
qualità.
E noi oggi, dopo i pasticci, le minacce e le marce
indietro sulla legge finanziaria, siamo l’emblema stesso di un rischio
elevato con, purtroppo, prospettive elevate di un «hard landing».
Occorre
dire che la situazione cinese era già preoccupante prima di venerdì
quando la crescita delle vendite al dettaglio è diminuita da un tasso
dell’8,6% a un tasso dell’8,1% e l’output industriale è diminuito a
novembre, su base annuale, da un tasso di crescita dell’5,9% a un tasso
del 5,4%, ben al di sotto delle aspettative di un altro 5,9%. Questo
capitava sullo sfondo di una fiducia debole dei direttori acquisti, di
un mercato immobiliare debolissimo, di vendite di auto in caduta
verticale. Cosi le aziende hanno anche lasciato a casa molti lavoratori
con due mesi di anticipo rispetto alle tradizionali ferie per l’arrivo
del Nuovo Anno Lunare. Attenzione, non che il locomotore cinese si sia
fermato, ma un semplice rallentamento, inatteso come ci hanno detto i
dati di venerdì, ha ripercussioni, come ci ha detto il Fondo monetario
internazionale, non solo sull’Europa, ma su tutta l’economia mondiale
inclusa quella americana, cosa che di nuovo non ci aiuta. Per questo Ken
Rogoff, che guidò il Centro studi del Fondo ha scritto che le
prospettive per un ingresso in recessione in America nel 2019 sono
aumentate. Secondo alcune stime di mercato ci sono oggi probabilità del
30% che l’America possa entrare in recessione nel corso del 2019
rispetto a probabilità minime solo alcune settimane fa. Per questo il
Dow Jones coi dati cinesi di venerdì ha perso il 2%, potrebbe testare
questa settimana quota 24.000 (venerdì ha chiuso a quota 24.100,51) ed è
tecnicamente in correzione rispetto ai massimi del 3 ottobre scorso.
Ed
ecco la ragione della svolta, di cui vi parlavo in apertura: Donald
Trump ha cercato disperatamente di correggere il tiro con un tweet che
annunciava progressi sul fronte commerciale con la Cina. Ma ha fallito. È
la prima volta che una buona notizia commerciale non ha conseguenze
positive: dopo il messaggio del presidente l’indice Dow Jones ha perso
altri 200 punti, cioè un altro 1%. Il messaggio è chiaro. Lo scontro
commerciale voluto da Trump è stato un grave errore. Anche se
l’amministrazione parlava di guerra negoziale piuttosto che di guerra
commerciale, le aziende straniere e americane hanno reagito di
conseguenza: hanno dirottato molta produzione dalla Cina ad altri Paesi
del Sud-Est Asiatico. Chissà che Trump, convinto di inventare cose nuove
in economia, riceva questo schiaffo del mercato al suo tweet come un
avvertimento: meglio abbandonare le improvvisazioni, altrimenti nel 2020
rischierà di perdere la presidenza.