La Stampa 14.12.18
Israele di nuovo sotto attacco
Dieci attentati in un mese
di Giordano Stabile
Due
soldati uccisi a colpi di arma da fuoco vicino all’insediamento di
Ofra, due accoltellati nella Città vecchia di Gerusalemme, la morte di
un bambino nato prematuro dopo che la madre incinta era stata ferita in
un agguato domenica sera. Quella di ieri è stata una giornata di sangue,
dopo una notte di battaglia attorno a Ramallah, che aveva portato i
militari israeliani a uccidere due degli attentatori degli ultimi
attacchi. Un risultato che però ha visto la reazione immediata dei
militanti palestinesi, non si capisce fino a che punto organizzati in
una rete, o lupi solitari in cerca di vendetta. In ogni caso l’Intifada
strisciante in Cisgiordania ha subito una tremenda accelerazione, dopo
che per tre anni gli attacchi si erano succeduti in maniera sporadica.
Nell’ultimo mese sono stati invece dieci, e gli analisti temono un
cambio di strategia di Hamas che, anche se non rivendica mai
direttamente gli attentati, sarebbe il regista dell’ondata di violenza.
L’accelerazione
è cominciata con l’attacco, domenica, a una fermata dell’autobus
davanti all’insediamento di Ofra, poco distante da Gerusalemme e
Ramallah. Colpi di arma da fuoco da un auto in corsa che hanno lasciato a
terra sette feriti, due gravi, compreso Amichai Ish-Ran e sua moglie
Sarah, incinta. Per Israele, che festeggiava l’ultimo giorno
dell’Hanukah, la celebrazione delle luci, è stato uno choc. E’
cominciata una gigantesca caccia all’uomo, che ha portato i soldati
israeliani fin nel centro di Ramallah, dove ha sede l’Autorità nazionale
palestinese, a setacciare locali e perfino la sede dell’agenzia
palestinese Wafa. La caccia è finita nella notte fra mercoledì e ieri,
quando i militari hanno trovato e ucciso l’autore, legato ad Hamas. Il
figlio di Sarah era però già morto.
Prima dell’alba di ieri un
altro blitz portava all’uccisione nel campo profughi di Askar, accanto a
Nablus, di una altro sospetto terrorista, autore della strage nella
zona industriale di Barkan all’inizio di ottobre. La reazione dei
militanti è stata però massiccia. Nella prima mattinata due soldati di
pattuglia a Gerusalemme vecchia venivano feriti a coltellate,
l’assalitore ucciso sul posto. Poi l’attacco più grave, all’incrocio di
Givat Asaf sulla superstrada 60, ancora vicino all’insediamento di Ofra.
Un palestinese ha bloccato la sua auto, è sceso e ha sparato sui
soldati di guardia. Due sono rimasti uccisi. Il killer è fuggito a
piedi. Infine, al check-point di Be El una palestinese ha investito un
soldato, ed è stato ferito gravemente.
Il premier Benjamin
Netanyahu ha promesso «che chiunque ha commesso l’attacco pagherà, i
nostri nemici sanno che li troveremo». Anche il presidente palestinese
Abu Mazen è intervenuto per «respingere la violenza, nella convinzione
che entrambe le parti ne paghino il prezzo». E’ partita una nuova caccia
all’uomo, ma la spirale in Cisgiordania preoccupa. Da ottobre, nota
l’analista militare Amos Harel, ci sono stati dai quattro agli otto
attacchi al mese, una media superata di molto nella prima metà di
dicembre. I servizi interni, lo Shin Bet, temono di trovarsi di fronte a
una fenomeno «ibrido», un misto fra i lupi solitari protagonisti
dell’Intifada «dei coltelli» cominciata nell’ottobre 2015, e una rete
organizzata come quella della Seconda Intifada. Un rete fatta di micro
cellule, che non presuppone un’affiliazione dichiarata, e si basa
soprattutto sui legami famigliari come supporto. Una minaccia di un
nuovo tipo che richiede una nuova strategia di contrasto.