Il Sole Domenica 2.12.18
Donatella Di Cesare
La filosofia come vocazione a rompere il silenzio
di Francesca Rigotti
«Quando
il gallo canta, solo o in un’orchestra solitaria e distante, sembra che
voglia rompere qualcosa...Il canto del gallo irrompe e spalanca, in
modo decisivo, le porte e il cammino della storia». Le parole di María
Zambrano (in Dell’aurora, 1986) mi risuonano nella testa, pensando a
questo libro di Donatella Di Cesare, insieme a quelle di Max Weber (ne
La scienza come professione, 1919): «Una voce grida da Seir in Edom:
sentinella quanto durerà la notte? Verrà il mattino – risponde la
sentinella – ma è ancora notte». Entrambi gli autori evocano infatti
situazioni di veglia e la veglia, commenta a sua volta Di Cesare, è «il
preludio della filosofia».
Nella veglia, nell’attesa della luce
chiara del giorno, che desta stupore, canta il gallo: quel gallo che
Socrate dopo aver bevuto la cicuta chiede venga sacrificato ad Asclepio,
come riportano le ultime battute del Fedone. Il gallo, animale di
sacrificio da immolare allo scopo di celebrare la guarigione dalla
malattia del vivere. Il gallo, animale della soglia tra oscurità e
chiarezza, veglia e sonno, animale del limite dunque, come le
domande-limite della filosofia, che stanno sul punto del limite per
valicarlo e uscirne fuori.
La filosofia – dice l’intenso saggio di
Donatella Di Cesare, proponendo una riflessione sul ruolo di tale forma
e disciplina del pensiero e cercando di darne una definizione – si
affaccia sulla soglia e guarda oltre, per esempio nelle «profezie del
salto» di Marx e Kierkegaard, filosofi divergenti quanto speculari nel
loro salto, verso l’esteriorità Marx, rivolto all’interiorità
Kierkegaard. Anche se il titolo potrebbe trarre in inganno, lasciando
immaginare filosofi sulle barricate, Di Cesare non sostiene certamente
la coincidenza tra filosofia e politica, né quella tra filosofia e
democrazia e nemmeno la priorità della democrazia sulla filosofia, come
suona il titolo di un saggio di Richard Rorty. Ciò cui qui si dà luogo,
si apre spazio, è il tema della vocazione la quale è chiamata, voce,
invocazione, canto, canto del gallo che con la sua potenza sonora rompe
il silenzio, apre la porta ed e-voca, ovvero, letteralmente «chiama
fuori».
Serve a qualcosa questo richiamo, ha utilità pratica,
porta profitti e guadagni, risolve problemi? A quest’ultimo aspetto
provvede lo scienziato, commenta Di Cesare, riconoscendo alle scienze
capacità e ruoli precisi. Cortesia non ricambiata da Edoardo Boncinelli
che invece nella sua requisitoria dal titolo La farfalla e la crisalide
(Milano 2018) infierisce crudamente (e gratuitamente) sulla filosofia,
accusandola di rifiutarsi di capire che a partire dalla nascita e
dall’affermarsi della scienza sperimentale il suo ruolo si è esaurito,
anzi è diventato frenante, negativo, tossico.
La scienza,
riconosce Di Cesare, percorre la via regia verso la soluzione dei
problemi e l’appagamento progressivo della conoscenza. Ma la filosofia
precede la scienza, e non certo per tirarsi indietro e autodistruggersi
nel momento di separarsi da quella, come la crisalide che, dopo essersi
aperta per lasciar uscire la farfalla, si secca e perde la sua funzione.
Che l’analogia proposta da Boncinelli non sia valida, proprio come non
fu valida, ce lo illustra lui stesso, l’analogia della struttura
dell’atomo con quella del sistema solare, dal momento che troppe
specificità atomiche trascurava e oscurava?
La filosofia di cui Di
Cesare parla con passione e trasporto ha un movimento alato, verticale,
lungo il quale si muovono quei «sublimi migranti del pensiero» che sono
i grandi filosofi persino, nonostante Boncinelli, post-galileiani.
Eppure da quella posizione eretta la filosofia riesce pure a inclinarsi –
sia reso omaggio a Adriana Cavarero – con un gesto di attenzione e
cura, verso la polis, per risvegliare la comunità assopita nel sonno
individuale, e qui Di Cesare segue le intuizioni e le immagini mentali
di Walter Benjamin.
Non è un caso dunque che l’autrice affidi il
compito politico della filosofia alla poesia, come fu il caso di Dante,
poeta e pensatore dell’impegno politico che prese partito e si espose
pubblicamente. Come non è un caso il fatto che il poetare e l’impegnarsi
politicamente si incontrino e si fondino nella etimologia dei termini
in gioco tedeschi, latini e greci. Comporre poesia in tedesco, commenta
Di Cesare, si dice dichten (dal latino dictare), ma dichten sta anche
per condensare, addensare. Lo stesso significato, aggiungo, del termine
impegno (dal lat. pignus), legato ai significati del verbo latino pango e
di quello greco p?gnymi, vale a dire addensare, consolidare, coagulare;
che è quel che fa la parola politica quando si incarna nell’impegno o
introduce il patto e la pace. Questo mentre i filosofi non dovrebbero
fare a meno di intervenire politicamente nel mondo, eventualmente dalla
posizione anarchica, quella di Di Cesare, svincolata dal potere e dal
comando - uno dei significati del greco archè - ma non dagli altri suoi
non meno pregnanti significati, origine e principio.
Sulla vocazione politica
della filosofia
Donatella Di Cesare
Bollati Boringhieri, Torino,
pagg. 180, € 12,75