Il Sole Domenica 2.12.18
Intorno all’amore. Pietro Del Soldà ne
individua una dimensione pubblica contro l’immagine dominante che ne dà
invece una lettura privata. L’eros non va inteso solo in senso
sentimentale e di coppia, ma soprattutto politico
Una visione plurale di felicità
di Remo Bodei
Nell’inflazione
di pubblicazioni che trattano della felicità e delle ricette per
raggiungerla o tra le numerose applicazioni del pensiero antico
all’attualità, la prima cosa da dire è che questo libro riserva una
gradita sorpresa: non è banale e, malgrado la perfetta conoscenza dei
testi platonici utilizzati, non ha neppure un taglio didascalicamente
accademico.
In quanto conduttore della rubrica radiofonica Tutta
la città ne parla, Pietro Del Soldà gode, infatti, professionalmente del
vantaggio di praticare una sorta di quasi quotidiano dialogo socratico
nell’agorà tecnologica di RAI 3, di misurarsi, in maniera garbata ed
equilibrata, con le questioni poste dal pubblico, con le sue
preoccupazioni e inquietudini. Senza offrire soluzioni prefabbricate,
egli utilizza Socrate come un reagente e non come un modello cui
adeguarsi.
Il problema della felicità è trattato contropelo, a
partire dalle radici dell’infelicità e delle sue cause e dalla domanda
che oggi s’impone: perché tanta infelicità, se il mondo, rispetto al
passato, è incomparabilmente migliore, se le aspettative di vita, di
libertà e di sicurezza sono così aumentate? Contro l’immagine dominante
di una felicità esclusivamente privata, Del Soldà ne mostra
l’inscindibile con la dimensione pubblica. Sostiene poi la tesi che
l’amore (eros) non debba essere inteso in senso sentimentale o di
coppia, ma anche, e soprattutto, politico. In tale prospettiva, esso
consiste nella ricerca di un legame in grado di dare «armonia alle “voci
del coro”, cioè di governare se stesso e la città senza escludere
nessuna delle parti che la compongono». Eros è la forza che abbatte il
muro di separazione tra l’Io e il Noi.
Notevole è la parte del
volume che, ripercorrendo la polemica di Socrate contro i sofisti (in
dialoghi come il Protagora, il Gorgia, il Lachete, il Fedro, la
Repubblica e le Leggi), Del Soldà indica in essi gli antesignani delle
attuali forme d’individualismo narcisistico, caratterizzato dalla
mancanza di pudore, dalla «spettacolarizzazione dell’intimità»,
dall’insofferenza alle regole e dalla ricerca del successo a qualsiasi
costo. Nessuno si mette realmente in gioco nel dialogo, ma aggiunge
addirittura nuovi mattoni al «muro» che lo divide, oltre che da se
stesso, anche dagli altri, con cui intrattiene rapporti unicamente
strumentali. Si è perciò soli pur vivendo in mezzo a una pluralità di
persone, perché s’intessono con loro relazioni non vincolanti (quelle
che il filosofo americano Robert Nozick aveva teorizzato come no binding
committments). L’esistenza è concepita da questi sofisti come una
competizione senza quartiere, analoga alla corsa della vita descritta da
Hobbes, che parafrasa San Paolo, della: «Guardare gli altri che stanno
dietro, è gloria. […] Esser superato continuamente, è infelicità. /
Superare continuamente quelli davanti, è felicità / E abbandonare la
pista, è morire».
L’ipertrofia dell’io conduce al paradosso per
cui, più ci separiamo da noi stessi e dagli altri, più ci omologhiamo,
in quanto egoismo e conformismo sono due facce della stessa medaglia.
Come abbattere dunque la barriera che ci divide da noi stessi e dagli
altri? La soluzione suggerita è quella che si trova nell’Alcibiade
Maggiore, dove il precetto delfico «Conosci te stesso!» non va inteso
come un invito a sprofondare nell’asfittica interiorità individuale,
bensì a rispecchiare se stesso nella pupilla dell’altro: «Se un occhio
vuole vedere se stesso, deve guardare in un altro occhio e in quella
parte in cui nasce la forza visiva». Ciascuno deve perciò uscire da sé
proprio per andare verso se stesso, anche perché conoscere se stessi
significa conoscere gli altri, ossia anche fare politica. Ma, per
rovesciare l’ottica consueta dell’introspezione e ritrovarsi nella
pluralità degli altri, per rimettere a posto i frammenti di se stessi in
qualcosa di coerente, si richiede coraggio.
Riferendosi più
direttamente alle vicende del presente, ciò implica non solo l’abbandono
della retorica dell’identità autosufficiente, basata sull’esclusione
dell’altro, ma anche – e questo, in tempi di fake news, è un
suggerimento prezioso – il non limitarsi a smontare le falsità evidenti
attraverso il fact checking. Occorre, piuttosto, sforzarsi di capire
l’eros, l’irrefrenabile bisogno, in chi si è sentito abbandonato e
sminuito, di entrare a far parte di una comunità che lo rappresenti e
per cui si è disposti ad accettare, come tassa d’inclusione, tutto
quanto asserito dall’opinion leader. Tale adesione ha tanto più valore
in una fase in cui si assiste a una enorme crescita delle diseguaglianze
o, come direbbe la sociologa Sakia Sassen, a una «secessione dei
patrizi», al ritirarsi nelle loro dorate posizioni di quei pochi che
posseggono le risorse di metà del genere umano (e che, nella
rivendicazione di una eroica ignoranza, vengono spesso accomunati alla
detestata casta dei detentori ufficiali del sapere).
Vi è un solo,
difficile. rimedio all’attuale ribollire delle «passioni tristi» (odio,
invidia, risentimento) e di quelle irruenti (ira, gelosia,
aggressività) non sufficientemente orientate dal pensiero cosciente.
Nelle Leggi tutte sono paragonate da Platone a rigidi e indeformabili
fili di ferro, che muovono l’uomo come una marionetta. A esse bisogna
sottrarsi, opponendo resistenza al loro potere, per «farsi guidare
sempre da uno solo di questi fili, senza mai lasciarlo […]. Si tratta
del sacro filo d’oro del logos». Occorre, in altri termini, fare
affidamento su una «ragione malleabile» come l’oro, capace di condurre a
una «felicità plurale» e condivisa, al cui culmine «assaporare la gioia
indicibile di un canto comune».
Non solo di cose d’amore. Noi, Socrate e la ricerca della felicità
Pietro Del Soldà
Marsilio, Venezia, pagg. 191, € 17