il manifesto 8.12.18
Paura dei migranti, e il rancore diventa cattiveria
Rapporto
Censis. Un quadro allarmante, su cui pesa molto la condizione
lavorativa dei giovani. Precarietà, sottoccupazione, part-time
involontario
di Luigi Pandolfi
Un Paese
incattivito. Cupo, anziano, diffidente, senza speranza. Non è la Francia
dei Gilet jaune, che molto sta facendo parlare di sé in questi giorni.
E’ l’Italia di oggi, raccontata alla luce delle sue frustrazioni
nell’ultimo Rapporto del Censis.
L’Italia che il 4 marzo aveva
affidato la cura della sua rabbia sociale ai partiti populisti, oggi
uniti in matrimonio nel governo giallo-verde, che adesso non nasconde un
certo disincanto per come stanno andando le cose, a cominciare
dall’andamento dell’economia (pesa lo shock per l’arretramento del Pil
dopo 14 trimestri di crescita).
Complice lo «sfiorire della
ripresa», monta la convinzione che gli anni a venire non saranno affatto
quelli del miglioramento delle condizioni materiali di vita della
stragrande maggioranza della popolazione, di quelli che maggiormente
hanno pagato il prezzo della crisi nell’ultimo decennio.
Non c’è
un crollo del consenso verso i partiti di governo, non ancora, ma l’idea
che «anche questa volta» le aspettative su un cambio radicale di marcia
del Paese possano andare deluse è già presente in una fetta larga
dell’elettorato. Nessuna rivalutazione di «quello che c’era prima»,
beninteso. La rabbia, che nel frattempo è diventata «cattiveria», si sta
tramutando in «sovranismo psichico», nella ricerca di un «sovrano
autoritario» al quale affidare le sorti del Paese.
Per decenni, in
Europa, le nuove generazioni hanno vissuto nella certezza che la loro
vita sarebbe stata migliore di quella dei propri padri. Ora non è più
così. In Italia più che altrove. Nel nostro Paese, secondo le
rilevazioni del Censis, solo il 23% dei cittadini dichiara di aver
migliorato la propria condizione socio-economica rispetto ai genitori,
contro una media Ue del 30%.
Quasi nessuno, poi, tra le persone
con un basso titolo di studio o a basso reddito pensa che il futuro
possa riservare alla propria esistenza materiale qualcosa di meglio.
Un
salto indietro di un secolo, almeno. L’ascensore sociale si è di nuovo
bloccato, è andato in frantumi il patto sociale su cui si è retta
l’Italia per oltre un sessantennio. Cala la fiducia nella politica,
cresce il risentimento verso le istituzioni europee (solo il 43% degli
italiani pensa che l’appartenenza alla Ue abbia fatto bene all’Italia, a
fronte di una media europea del 68%), gli immigrati fanno sempre più
paura (sono un problema per il 63% degli italiani).
Il dominio del
capitale è entrato in una fase nuova. Se ieri i nostri problemi
derivavano dal fatto che avevamo vissuto «al di sopra delle nostre
possibilità», oggi la causa dei nostri mali andrebbe ricercata nella
concorrenza e nell’invadenza di chi sta sotto di noi. Per il 58% degli
italiani gli immigrati sottrarrebbero posti di lavoro ai connazionali e
minaccerebbero la tenuta di ciò che resta del welfare state.
Coperta
corta, risorse scarse, ognuno a casa propria. Il problema non è
l’iniqua distribuzione della ricchezza ma la sottrazione di risorse da
parte di chi entra in casa nostra «senza averne diritto».
Eppure,
se in Italia i salari sono aumentati soltanto dell’1,4% dal 2007 al
2017, mentre in Francia e in Germania l’aumento è stato nello stesso
periodo, rispettivamente, del 13,6 e del 20,4%, una domanda bisognerebbe
porsela sullo stato delle nostre relazioni industriali, su come le
stesse si siano via via modificate in questi anni.
Il Rapporto del
Censis dice anche che il potere d’acquisto delle famiglie italiane è
sceso del 6,3% rispetto al 2008 (in termini reali) e che negli ultimi
tre anni si è allargata la forbice nei consumi tra i diversi gruppi
sociali (-1,8% le famiglie operaie, +6,6% quelle degli imprenditori). Il
problema è di coperta corta o di distribuzione della ricchezza?
A
maggior ragione se si tiene conto di un altro squilibrio: quello tra
nord e sud del Paese. Dopo la crisi, c’è stata una parte dell’Italia che
ha recuperato quasi tutto il terreno perduto ed un altra che è andata
ancora più indietro, che rischia spopolamento e desertificazione
economica.
Squilibri sociali, squilibri territoriali. Un quadro
allarmante, su cui pesa molto la condizione lavorativa dei giovani.
Precarietà, sottoccupazione, part-time involontario. In dieci anni, da
236 giovani laureati occupati ogni 100 anziani si sarebbe scesi a 99.
Eppure, proprio i giovani avrebbero più fiducia nel progetto di
integrazione europea: il 58% dei 15-34enni e il 60% dei 15-24enni.