il manifesto 7.12.18
Renzi, la sua «cosa» a gennaio. Pd, conta fra chi resta e chi va
Democrack/
Primarie Pd. Corrente allo sbando, parte l’hashtag: #iorestonelPd,
ipotesi di non sostenere nessun nome. C’è l’urgenza di trovare una nuova
candidatura per evitare che ci troviamo di fronte due mezzi partiti,
nessuno dei quali motivante perché poco utili all’Italia
di Daniela Preziosi
Il
giorno dopo il braccio di ferro che ha convinto Marco Minniti a
ritirarsi dalla corsa per le primarie Pd, la parola d’ordine del Pd è:
«tutti fermi». Su Repubblica campeggia l’intervista del ex candidato con
un nuovo appello all’unità: «Spero che non ci sia alcuna scissione.
Sarebbe un regalo ai nazionalpopulisti». Renzi da facebook risponde con
tono sprezzante verso i suoi, quasi già ex: «Chiedetemi tutto ma non di
fare il piccolo burattinaio al congresso del Pd», «Non chiedetemi di
stare dietro alle divisioni del Pd perché non le capisco, non le
condivido, non mi appartengono», «Da mesi non mi preoccupo della Ditta
Pd: mi preoccupo del Paese». Nella sua lingua il Pd è già ridotto al
rango della «Ditta», quella Bersani&D’Alema, quello che per lui
era il partito dei gufi, rosiconi e perdenti.
CON I SUOI BUTTA
ACQUA sul fuoco della scissione: la nuova «cosa» non è alle viste, forse
non arriverà neanche per le europee, giura di non voler portare con sé
nessun dirigente. Smentisce Dagospia che data la nascita del nuovo
soggetto al 16 dicembre, in occasione della prima riunione romana del
movimento «Cittadini!». Smentisce anche Sandro Gozi a cui viene
attribuita la paternità dell’iniziativa. Gozi ci sarà, ma da ospite.
L’ex sottosegretario agli affari europei per Renzi è la chiave
d’ingresso nei palazzi di Bruxelles, l’uomo che parla con Macron e con
gli spagnoli di Ciudadanos.
E DAGLI INCONTRI di mercoledì a
Bruxelles la road map della nuova creatura renziana esce abbastanza
definita: lancio entro gennaio per arrivare a fare una lista europea e
dunque una formazione che faccia da ago della bilancia per una
coalizione fra socialisti e liberali. In modo da non consentire agli
antieuropeisti di essere determinanti per il governo della prossima
Unione. «Se il Pd resta fermo al centro dei vecchi Socialisti e
democratici non avrà nessuna capacità espansiva». Naturalmente questa
creatura descritta come «non conflittuale» con il Pd però ne
contenderebbe i voti – «ma pescherà anche a destra», viene assicurato.
C’È
QUALCOSA DI TROPPO FACILE in questa fantasia europeista: le firme da
raccogliere per partecipare a voto sono moltissime per un movimento
senza organizzazione. Ma questa sarà un’altra storia, ammesso che Renzi
non cambi idea nel frattempo.
A sera su Radio1 lui ancora
smentisce: «Di scissioni ne abbiamo viste già abbastanza. Non è
all’ordine del giorno e non sto lavorando all’impostazione di qualcosa
di diverso», dice. E perché non l’ha detto il giorno prima a Minniti?
NON
L’HA VOLUTO DIRE. E ora il Pd renziano è allo sbando, la corrente è in
confusione, oggetto delle attenzioni dei due candidati destinati allo
spareggio, Martina e Zingaretti. Per il costituzionalista Stefano
Ceccanti, dell’area liberal (Libertà Eguale) con questi candidati è
impossibile andare a congresso: «C’è l’urgenza, nelle prossime ore, di
trovare una nuova candidatura per evitare che ci troviamo di fronte due
mezzi partiti, nessuno dei quali minimamente motivante, perché poco
utili all’Italia». Ma chi? Scese le quotazioni di Teresa Bellanova, c’è
chi ipotizza di convincere Paolo Gentiloni come candidato unitario, chi
propone di fermare il congresso. Ma sono ipotesi della disperazione.
LORENZO
GUERINI, presidente del Copasir, invocatissimo dai suoi, si blinda
tutto il giorno in un provvidenziale convegno della Nato Foundation. Non
prima di aver ribadito di non essere disponibile. Sale l’ipotesi di non
sostenere nessuno. Sarebbe deflagrante, come e più dell’abbandono
dell’ex segretario. «Oggi è tutto fermo», giurano tutti. Eppure a
Palazzo Madama viene riferito di conciliaboli fra senatori renziani e
Nencini, della lista «Insieme», su un nuovo gruppo.
La verità è
che non è fermo niente. Il Pd è preda di uno smottamento continuo. Carlo
Calenda, dato in uscita, smentisce di essere interessato alla «cosa» di
Renzi. A stretto giro gli arriva il corteggiamento di Zingaretti,
«credo che Calenda possa essere uno dei principali protagonisti della
battaglia delle elezioni europee». Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro
che con altri 550 colleghi aveva sostenuto la candidatura di Minniti,
lancia l’hashtag#iostonelPd. Inizia la conta fra chi parte e chi resta,
ma al momento Renzi non ha invitato nessuno. Matteo Richetti chiede ai
sindaci di confluire su Martina. Goffredo Bettini, schierato Zingaretti,
elogia Minniti e lo definisce «un punto di forza del nostro partito».
NICOLA
ZINGARETTI si sfila da quello che definisce «il chiacchiericcio» del
partito e partecipa ad un’affollatissima lectio magistralis di Massimo
Cacciari sull’Europa, organizzata a Roma all’università Roma Tre da
Massimiliano Smeriglio, uno dei due coordinatori di Piazza Grande. Ci
sono i Giovani democratici e quelli di Generazione Italia. Vietati i
commenti sul caos Pd: «Oggi abbiamo messo la prima pietra di una
rifondazione del campo progressista insieme alla comunità accademica gli
studenti i docenti i precari», «Dobbiamo cambiare tutto e farlo in
fretta», «Il populismo si batte innescando un nuovo movimento popolare
globale ed europeo».