il manifesto 7.12.18
Karl Marx impigliato nel futuro
Percorsi.
Un sentiero di lettura, in cinque libri di recente pubblicazione, per
orientarsi nel bicentenario del pensatore di Treviri. Un modo per
rimettere al lavoro il Moro, evidenziandone i «punti di stress»
di Benedetto Vecchi
Due
secoli separano il presente dall’anno di nascita di Karl Marx. In
termini di anni (duecento), l’immagine evocata è quella di un uomo e di
un’opera di altri tempi, ottocentesca. Eppure la sua critica
all’economia politica, la sua antropologia filosofica, la sua militanza
politica hanno condizionato gran parte del Novecento. Era quindi
prevedibile che studiosi – marxisti e non solo – facessero i conti con
la sua eredità teorica. Molte sono state le pubblicazioni dedicate al
Moro. Difficile individuarne contorni netti, tuttavia. Ne esce semmai
una costellazione tematica, talvolta sfuggente.
In primo luogo,
emergono quelli che David Harvey ha chiamato i «punti di stress»
dell’opera marxiana. La teoria del valore lavoro, la distinzione tra
lavoro produttivo e improduttivo, la definizione della necessità di una
organizzazione politica che valorizzasse l’autonomia della classe
operaia. La polarità tra una tendenza globale del capitale (la
formazione di un mercato mondiale, o per usare una espressione di
Etienne Balibar di «capitalismo assoluto») e una «nazionalizzazione»
della base economica del capitalismo stesso.
Marx, va da sé,
nazionalista mai lo è stato. Negli scritti indirizzati all’Associazione
internazionale dei lavoratori o nei pamphlet «politici» ha infatti
sempre criticato ferocemente ogni cedimento nazionale dei gruppi
militanti. Trovarlo descritto, come ormai spesso accade, sia a destra
che a sinistra, come un «sovranista» restituisce solo la miseria della
filosofia politica contemporanea.
CHI SI PROPONE di gettare un po’
di luce su questa costellazione è Roberto Finelli in Karl Marx. Uno e
bino (Jaca Book, pp. 287, euro 25), che con una felice idea scandisce la
riflessione, interrompendo la linea che dal passato porta al futuro,
invertendo cioè il ritmo: c’è prima il futuro, poi il presente (lo stato
dell’arte della critica marxista al capitalismo) per infine chiudere
sul passato (il marxismo storico).
Il futuro di Finelli è la
dichiarazione di un percorso di ricerca in divenire, ma del quale alcune
tappe sono state comunque segnate. Il filosofo dell’astrazione reale
segnala in primo luogo la irrinunciabile necessità di rompere lo schema
evoluzionista, determinista di una filosofia della storia marxista che
fa del comunismo una sorta di approdo obbligato, dettato da leggi di
movimento oggettive che cancellerebbero la tensione a una libertà
radicale per la quale serve mettere al lavoro la coppia filosofica
«individuazione e riconoscimento di sé».
Individuazione significa
fare i conti con l’antropologia della povertà e dello sfruttamento nel
capitalismo, mentre il riconoscimento del sé significa un esercizio
della differenza che tiene aperta, appunto, la possibilità di una
libertà radicale. Da qui l’evocazione della psicoanalisi come
elaborazione «altra», propedeutica alla produzione di soggettività
politiche adeguate al presente.
IL BANDOLO DELLA MATASSA ha però fili e fila da tirare, come quello della biografia di Marx.
Paolo
Ferrero e Bruno Morandi si inoltrano così su quel tornante, facendo
leva su una evidente attitudine pedagogica rispetto le sue opere
(Grundrisse e Capitale), convinti i due autori che la desertificazione
politica di questi anni abbia quasi azzerato la conoscenza dell’opera
marxiana. Il loro libro Marx. Oltre i luoghi comuni (DeriveApprodi, pp.
240, euro 14) passa in rassegna la perigliosa e romantica vita del Moro,
ma anche la teoria del valore lavoro, il ruolo della finanza, dello
stato. Di tutt’altro spirito, ma con evidenti punti di contatto
metodologici con questo volume è poi l’ambiziosa monografia di Marcello
Musto su Karl Marx (Einaudi, pp. 326, euro 30).
Sono anni che
Marcello Musto svolge un lavoro certosino sulle fonti del pensiero
marxista. In questo libro ci sono pagine dedicate ai pamphlet incendiari
come il Manifesto del partito comunista, La critica al programma di
Gotha, le vicende e gli scontri feroci che videro Marx e Engels
battagliare contro anarchici, repubblicani (Giuseppe Mazzini era
disprezzato dal Moro), socialisti utopisti. Un libro che smentisce
l’immagine di un Marx autoritario e settario, restituendo invece la
profonda convinzione che la liberazione della classe operaia potesse
venire solo dalla classe operaia stessa e non da qualche dirigente
illuminato o da un gruppo selezionato di giacobini, per quanto comunisti
fossero.
I TANTI LIBRI USCITI segnalano, tuttavia, un certo
prosciugamento del bacino di lavoro intellettuale su Marx. Conferisce
evidenza a questa difficoltà il tono un po’ mesto di molti interventi
presenti nel volume curato da Stefano Petrucciani Il pensiero di Karl
Marx (Carocci editore, pp. 381, euro 35), dove compaiono autori che si
ritrovano anche in quello curato da Chiara Giorgi per manifestolibri
(Rileggere il capitale, pp. 245, euro 20).
Il libro si
caratterizza per un tentativo di rompere lo schema da una certa
scolastica marxista. Stefano Petrucciani, ad esempio, affronta il tema
della libertà, all’interno di un disegno nel quale le proposte politiche
di Marx vengono qualificate come una anticipazione – tesi molto
azzardata – del welfare state novecentesco. Il diritto borghese
diseguale individuato dall’autore è funzionale alla lunga transizione
che dovrebbe portare all’operatività, ma solo alla fine, della massima
«a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno a secondo la sua
capacità». Fino ad allora, il diritto non può che essere
contraddittoriamente diseguale.
COSA FARNE ALLORA dell’eredità
marxiana? Con una mossa a sorpresa, felicemente inaspettata, Sandro
Mezzadra e Mario Espinoza Pino invitano a aprire laboratori marxiani
facendo tesoro degli scritti giornalistici, legati alla contingenza, di
Marx. Il giornalismo, quello sulle lotte di classe in Francia, sulla
Comune, sulle corrispondenze per lo statunitense New York Tribune è
interpretato come un laboratorio dove il Moro ha messo a fuoco i
problemi da sciogliere nella sede adeguata – i tempi lunghi della
riflessione – ma alla luce delle necessarie messe di dati, fondamentali
per lo sviluppo delle sue categorie.
I due autori segnalano
inoltre che sono scritti giornalistici che rompono la gabbia dell’accusa
di eurocentrismo rivolta Marx, giungendo ad abbozzare – in base a
quanto stava accadendo in Cina, Russia, India, Africa – una vision
«multilineare» dello sviluppo capitalistico. In questa direzione va il
saggio di Etienne Balibar contenuto nel libro curato da Chiara Giorgi
(Rileggere il capitale).
Il filosofo francese prova a individuare i
punti di stress della teoria marxiana per poi sviluppare una concezione
del «capitale assoluto» e del «debito ecologico».
Un vento lieto
lo portano infine altri due testi, Quelli di Alisa Del Re e Giso
Amendola. La prima introduce i temi del lavoro di riproduzione, di cura,
relazionale, del lavoro semplice e gratuito.
UNA PROSPETTIVA
femminista che entra in rotta di collisione con l’economicismo di molto
marxismo ortodosso. Aria fresca, specialmente quando la filosofa
italiana dice che la ricchezza degli anni Settanta non sta solo
nell’immaginare e praticare altre relazioni sociali, ma nel saper tenere
insieme diritti civili e sociali, spezzando cioè la gabbia che separa
individuale e collettivo. Le singolarità e la loro irriducibilità a
sintesi governate dall’alto. Il partito politico di massa, tanto nelle
sue varianti socialdemocratiche che leniniste, non è stato messo in
scacco solo dal perfido capitale ma è stato sottoposto alla critica
roditrice del conflitto di classe. Pensare di ricostruirlo come se
niente fosse accaduto, consegna chi lo propone a risibili risultati
elettorali e politici da prefisso telefonico.
LIBERTÀ INDIVIDUALE e
libertà collettiva, dunque. Da inventare, praticare. È quello che fa lo
«stato di agitazione permanente» delle donne di questi ultimi anni, che
sgombera il campo da polarità tra i muscoli esibiti in qualche riot
metropolitano scandito da gilet gialli e l’autodeterminazione di chi
pensa che il proprio «lavoro elementare» (di cura, riproduttivo) con la
ricchezza abbia molto a che fare. E sulla tensione tra produzione di
soggettività e astrazione insiste Giso Amendola, mettendo in rapporto
Marx e Foucault, stabilendo assonanze e dissonanze, foriere di inediti e
proficui sviluppi.
Sono due testi che chiariscono molte delle
dinamiche sociali, culturali, politiche dentro questo vischioso
presente. Hanno inoltre il pregio di sgomberare il terreno dalle
sciocchezze sui «conflitti di identità», la retorica delle «guerre
culturali», invitando a immaginare e prendere in considerazione che la
singolarità e frammentazione del lavoro vivo dentro il conflitto del
capitale non necessariamente fa suo il lessico della rivendicazione
economica, ma indugia – e quindi valorizza – su quello delle forme di
vita, della relazionalità in divenire.
IL NODO, all’interno questo
scenario, resta quindi quale organizzazione politica darsi. Il modello
reticolare è una opzione, certo, senza però chiudere gli occhi: quella
che sembra costituire una soluzione può rivelarsi, come accaduto nei
movimenti globali di queste due decadi del nuovo millennio, un problema
aggiuntivo.
VA DUNQUE RESPINTA ogni tentazione di scolastica
marxista, di riattraversamento di tradizioni politico-culturali che non
aiutano a comprendere il presente. È questo l’unico modo per mettere
nuovamente al lavoro Marx. Riprendere cioè il lavoro della talpa. Per
rompere la gabbia di un eterno presente. E aprire, con quel gusto per il
paradosso e l’azzardo teorico e politico tipicamente marxiano, una
strada che dia vita a una prassi teorico politica radicale. E comunista.