il manifesto 4.12.18
Vox, nostalgici, nazionalisti, contro le donne e gli immigrati
Spagna.
Cresce l'onda nera con un balzo inaspettato: dai 250mila voti alle
europee 2013 ai 400mila delle regionali andaluse di domenica
Santiago Abascal, leader di Vox, in campagna elettorale
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
A scorrere la lista dei nuovi deputati autonomici (regionali) di Vox, è
chiaro che i primi a essere increduli del risultato siano loro stessi. A
parte il capolista, un ex giudice di famiglia sospeso nel 2011 per
abuso d’ufficio per aver modificato il regime di visita di un bambino
senza nessun criterio, gli altri 11 neoeletti (4 donne) sono
praticamente sconosciuti, fatte salve alcune sporadiche comparsate sui
media e sui social. I classici candidati raccattati qua e là (molti ex
militari) per riempire quella che doveva essere una lista di bandiera.
L’unica
faccia riconoscibile di un partito nato solo cinque anni fa è quella
del bellicoso segretario Santiago Abascal, 42 anni, sociologo, ex
consigliere basco del Pp, con un pedigree di tutto rispetto: il nonno fu
sindaco durante il franchismo e il padre un esponente del partito post
franchista, Alianza Popular (da cui poi nacque l’attuale Pp). Lui stesso
entrò nel Pp a 18 anni e ci rimase fino al 2013. Quell’anno alle
europee Vox raccolse 250mila voti, 1,57% del totale: in Andalusia
domenica ne ha raccolti 400mila.
A parte l’unità di Spagna
(sottointeso: contro l’indipendentismo catalano), le idee che difende
Vox passano per l’abolizione delle autonomie regionali, previste dalla
costituzione – proprio ora che sono entrate nello scacchiere politico
grazie alle elezioni regionali – a favore di una ricentralizzazione
soprattutto in ambito educativo e sanitario; per l’abolizione della
legge per la protezione delle donne contro la violenza machista,
sopprimendo «gli organisti femministi radicali» e promovendo la
creazione di un ministero per la «famiglia naturale»; ovviamente, no
all’immigrazione, con criminalizzazione dei migranti (ma con un’apertura
alle nazionalità che «condividono la lingue e importanti legami
culturali con la Spagna»); protezione della tauromachia e della caccia e
divieto per le scuole a impartire insegnamenti di educazione civica o
sessuale senza il consenso dei genitori; abbassamento delle imposte con
flat tax al 21%, lotta alla corruzione, e abolizione dell’indulto;
chiusura delle moschee, lotta contro lo jiadismo, chiusura dello spazio
Schengen, muro a Ceuta e Melilla, e naturalmente l’immancabile
riconquista di Gibilterra. Il tutto passando per un «piano integrale di
conoscenza, diffusione e protezione dell’identità nazionale e del
contributo spagnolo alla civiltà e alla storia universale, con speciale
enfasi alle gesta e alle imprese dei nostri eroi nazionali».
Nonostante
questo, e gli appoggi internazionali (Marine Le Pen è stata fra i primi
a congratularsi per i risultati di domenica) Abascal rifiuta
l’etichetta di «ultra». Ma l’accento antifemminista, antiLgbt,
antieuropeo, autoritario, xenofobo e confessionale collocano Vox nella
linea già tristemente tracciata in Francia, Germania, Inghilterra,
Ungheria, per non parlare dell’Italia. Non è un caso che Vox abbia
acquistato visibilità contemporaneamente alla crisi catalana, per la
quale la risposta è stata giudiziaria e repressiva e non politica, o
quando il governo Sánchez ha detto di voler togliere i resti di Franco
dal monumento nazionale. Mentre Abascal garantisce che saranno
«determinanti» in tutta la Spagna, si guarda con timore alle elezioni
municipali, regionali ed europee di maggio.