il manifesto 27.12.18
«Podemos, la terza opzione»
Intervista.
Lo choc del voto in Andalusia, la finanziaria, le prossime elezioni
europee, un incontro con Pablo Echenique, numero due del partito
di Francesco Campolongo e Loris Caruso
MADRID
Al termine di un’altra giornata politica incandescente nel parlamento
spagnolo in cui Podemos ha difeso le ragioni del dialogo tra il governo e
i partiti catalani per salvare la maggioranza e la nuova legge
finanziaria, poco prima della pausa natalizia, incontriamo nel congresso
dei deputati Pablo Echenique. Nonostante l’ora, il responsabile
dell’organizzazione di Podemos e numero 2 del partito ci parla a lungo
della situazione spagnola, del suo partito e delle europee alle porte.
Finora
la Spagna era stata un’eccezione, perché non c’era un’estrema destra
forte. Cos’è successo in Andalusia? C’è ancora un’eccezione spagnola?
La
Spagna continua a essere un’eccezione. L’estrema destra che si è
espressa in Vox prima era interna al Partito Popolare e a Ciudadanos.
Ora Vox ha preso voti per metà dal Pp e per metà da Ciudadanos, niente
da sinistra e quasi niente dai nuovi votanti. Fondamentalmente Vox è una
scissione del partito Popolare, della sua componente più franchista,
machista e razzista. Nel passato avevano scrupoli a esprimere
pubblicamente queste posizioni. Ora, grazie alla radicalizzazione del
discorso politico delle destre spagnole portata avanti da Pp e
Ciudadanos e all’acutizzazione del conflitto catalano, le loro posizioni
hanno ottenuto cittadinanza.
Se in Italia Salvini è cresciuto
anche perché i media parlano da anni di immigrazione e sicurezza, in
Spagna succede lo stesso con Vox, cresciuto soprattutto per la
centralità che i media hanno dato al conflitto con la Catalogna,
descritto come pericolo effettivo che «la Spagna si rompa». Vox non
emerge, quindi, dal nulla, e non costituisce una novità radicale. Per
questo penso che la Spagna continui a essere un’eccezione. Il nostro
spazio politico è ancora intorno al 20%, quindi la possibilità di
un’alternativa da sinistra resta concreta.
In Italia si è guardato
con molta attenzione alla legge di bilancio concordata tra Psoe e
Podemos. Quali sono i suoi contenuti principali?
I provvedimenti
che abbiamo strappato al Psoe, e “strappare” è davvero il verbo giusto,
se approvati, miglioreranno le condizioni di vita di milioni di persone.
Il salario minimo sarà alzato a 900 euro (misura già anticipata con un
decreto legge, ndr), un aumento del 20% decisivo per centinaia di
migliaia di lavoratori poveri. Aumentiamo del 40% la spesa per
l’assistenza sanitaria domiciliare. Abbiamo ottenuto un aumento del 38%
delle spese statali per abitazioni pubbliche e una legge che ostacoli la
crescita illegale del prezzo delle case. E per ultimo, ed è un punto
decisivo, abbiamo strappato un innalzamento delle tasse per grandi
imprese e grandi fortune e abbassato le tasse alle classi popolari e
alle piccole imprese. Con questo siamo riusciti a evitare le sanzioni
europee, perché non abbiamo fatto come il governo italiano che vuole
aumentare le spese ma abbassare le tasse ai ricchi. Siamo riusciti a
conciliare la volontà di Sánchez di rispettare i vincoli europei con la
scelta di aumentare la spesa e la giustizia sociale, grazie
all’innalzamento delle tasse ai ricchi e alle grandi imprese.
Quali sono le possibilità che la finanziaria venga approvata?
La
chiave ce l’hanno gli indipendentisti catalani, che hanno fatto un
errore, quello di subordinare il consenso alla finanziaria al fatto che
il governo mostri avanzamenti sulla questione territoriale. È un errore
perché questi partiti possono portare avanti le proprie rivendicazioni,
che noi non condividiamo ma che sono legittime, nello stesso tempo in
cui permettono che i provvedimenti sociali della finanziaria siano
approvati. Ma Sánchez non si sta sforzando per ottenere il loro
appoggio. Lo si era già visto con la mozione di sfiducia a Rajoy, che lo
ha portato al governo. L’appoggio degli indipendentisti si deve molto
più al nostro lavoro politico che al suo. Sulla finanziaria vediamo lo
stesso schema: noi facciamo ogni sforzo perché sia approvata, Sánchez ha
un atteggiamento passivo. Sembra che il Psoe non veda male il fatto che
non venga approvata, per poter usare questo pretesto e convocare
elezioni anticipate.
A livello europeo avete firmato il Patto di
Lisbona, insieme a France Insoumise e Bloco de Esquerda. Che obiettivi
ha il Patto, e come pensa di collocarsi tra le sinistre europee?
È
vitale portare in Europa l’idea che non ci siano solo due opzioni,
austerità neoliberista o fascismo, che indirettamente, tra l’altro, si
sostengono a vicenda. Noi siamo per una terza opzione. Chiave dell’unità
europea non sono l’euro, la circolazione delle persone o le radici
cristiane, ma lo stato sociale. Per gli spagnoli l’Europa ha sempre
rappresentato una garanzia di modernità che per noi è una rottura con il
passato franchista, ma soprattutto una promessa di prosperità
economica. Se questo si perde, si perde l’Europa, e bisogna salvare
l’Unione europea da questa involuzione antidemocratica e antisociale.
Questo è l’obiettivo fondamentale, anche con differenti prospettive
nazionali tra noi. Tra noi alcuni fanno parte del Partito della sinistra
europea e altri no, dobbiamo articolare una posizione comune sul modo
in cui saremo presenti nel parlamento europeo, ma credo che non avremo
nessun problema.
Come vi ponete rispetto al dibattito sull’uscita dall’Euro?
Noi
non proponiamo un’uscita dall’euro e dall’Europa. Però pensiamo che la
governance europea vada cambiata radicalmente. Non pensiamo che il
problema sia l’euro, ma il modo in cui la politica economica europea si
sottrae al controllo democratico. Se l’Europa non si rende conto delle
conseguenze delle sue politiche sui popoli e sul Sud Europa, non avrà
futuro. Noi vogliamo che lo abbia, e che si possa esercitare un
controllo democratico sulle sue politiche. Ma pensiamo anche che, come
ha dimostrato la vicenda della Grecia, prima di entrare in conflitto con
i poteri europei bisogna accumulare forza politica e assicurarsi di
avere una sufficiente forza popolare. Al momento i poteri europei sono
più forti di noi. Sono un Leviatano. E al Leviatano non interessa la
giustizia, gli interessano i rapporti di forze. Non li si può
contrastare con la forza di un paese solo, per quanto grande possa
essere.
Qual è lo stato di salute di Podemos?
Non è male.
Abbiamo raggiunto molto più di quanto pensavamo. Ad ogni passaggio
abbiamo avuto più forza di quella che immaginavamo.
Ora siamo
preoccupati per la situazione politica che si va configurando. Siamo
ancora nella situazione in cui le cose sembrano difficili, ma abbiamo
accumulato un’enorme esperienza. Stiamo dimostrando che siamo capaci di
governare meglio degli altri, prima a livello municipale, ora a livello
statale. E abbiamo la pelle molto indurita dagli attacchi degli
avversari. All’inizio ti destabilizzano, ora abbiamo imparato a
difenderci. Per questo penso che non siamo in un brutto momento. Non
sono riusciti a distruggerci, e questo non era scontato.
Partiamo
da una base solida, e ora dobbiamo convincere molta più gente delle
nostre posizioni e per farlo dobbiamo affrontare il circo mediatico, che
adesso parla solo di Vox e di Catalogna. Con l’esperienza accumulata
possiamo riuscirci. Dalla società arrivano segnali interessanti. La
mobilitazione dei tassisti è riuscita a contrastare il bombardamento
mediatico che li descriveva come corporativi e di destra. Loro hanno
visto che l’unico partito che li ha difesi siamo noi. Pochi mesi fa c’è
stata una grandissima mobilitazione delle donne: un movimento che
difende un’architettura sociale più giusta ed egualitaria. Sono vittorie
di popolo che ci fanno essere ottimisti. Bisognerà lavorare di più e
continuare a combattere. Ma se dovessi scommettere, scommetterei che
vinciamo.