il manifesto 21.12.18
Putin: «Il mondo ora rischia una guerra nucleare»
Cremlino.
«La deterrenza è al collasso dopo la scelta di Trump di uscire dal
Trattato Inf». Conferenza di fine anno del presidente russo su sanzioni,
Ucraina, spese militari e Siria
di Yurii Colombo
MOSCA
«Il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare. Ma se
la guerra, dio non voglia ci sarà, potrebbe condurre alla fine della
civiltà umana»: con questo ammonimento a tutte le cancellerie è iniziata
ieri a Mosca la tradizionale conferenza stampa di fine anno di Vladimir
Putin. Il presidente russo sulla questione della corsa agli armamenti,
rivolgendosi a Trump, ha voluto essere chiaro fino quasi alla brutalità.
«Dopo il ritiro degli Usa dal Trattato anti-balistico, che come ho già
detto molte volte, è stato comunque un cardine nel campo della non
proliferazione delle armi nucleari la Russia – ha sottolineato Putin –
ha progettato, armi “segrete” non ancora disponibili ai suoi avversari….
Si dice che la Russia si sarebbe avvantaggiata. È vero, abbiamo solo
noi alcune armi… ma sono mirate solo a mantenere la parità strategica»,
ha ribadito il capo del Cremlino, esprimendo al contempo il timore che
nuovi missili possano essere puntati a breve contro la Russia in Europa
centrale. E ha concluso questo capitolo chiedendosi retoricamente: «È la
Russia con i suoi 46 miliardi di dollari per la difesa a minacciare la
pace o gli Stati uniti con con i suoi 750?».
ANCHE LE NUOVE
sanzioni americane decise la scorsa notte a Washington avrebbero come
obiettivo per il capo del Cremlino, non scoprire chi ha avvelenato
Skripal «ma strangolare il nostro paese». Solo un cenno a muso duro
sull’Ucraina: «Sappiano tutti che non libereremo i marinai ucraini
arrestati sullo stretto di Kerch. Prima devono essere processati». Putin
ha anche respinto le accuse alla Russia di essere un «paese
autoritario». Si è chiesto invece se per i paesi occidentali non sia
tempo di una riflessione sui loro deficit di democrazia: «Come è
possibile che Trump vinca le elezioni e poi non possa governare? O che
gli inglesi votino la Brexit e poi non possano implementarla?».
A
PROPOSITO dell’annunciato ritiro dalla Siria di Trump, Putin è stato
guardingo. «Vedremo – ha detto – come e se ci sarà. Noi comunque
resteremo in Siria, perché se è vero ciò che ha detto Trump sulla
sconfitta dell’Isis, ci sono altri pericoli che aleggiano nella
regione». Una posizione che ha sempre lasciato fredda l’opinione
pubblica russa tradizionalmente isolazionista, ma ora Putin vorrebbe
riscuotere i dividendi della decisione di impegnarsi in Medio Oriente.
La diffidente ma stabile alleanza con Ankara, le ottime relazioni con
Teheran e la penetrazione commerciale in Egitto e in Africa centrale,
sono tasselli di una strategia a cui non intende rinunciare. E a
proposito dell’anello debole afghano ha informato: «Rafforzeremo le
nostre basi militari in Tajikistan perché prossimamente la situazione a
Kabul potrebbe bruscamente cambiare».
PASSANDO allo stato interno
del paese, il presidente ha ricordato che quest’anno il Pil è cresciuto
del 1,7% e il prossimo anno dovrebbe raggiungere il 2%. Siamo però
lontani dalle promesse elettorali di una crescita del 3,8% e di un
allargamento del welfare che Putin vorrebbe raggiungere con un non ben
definito «balzo tecnologico in avanti».
IL CREMLINO in questi mesi
ha dovuto fare i conti con un diffuso malumore legato all’innalzamento
dell’età pensionabile, all’aumento di 2 punti dell’imposta sul valore
aggiunto e all’impennata dei prezzi della benzina. Su quest’ultimo punto
Putin ha cercato di scacciare lo spettro dell’emergere anche in Russia
dei «gilet gialli». «Non farò crescere il prezzo dei carburanti per
tutto il prossimo anno» ha promesso.
Per concludere è tornato al
passato sovietico. Giudicando «positivamente i mutamenti introdotti
dalla Cina» dai tempi di Deng Xiaoping ha affermato di aver presente i
sondaggi che parlano di un 66% di russi nostalgici del’Urss. «Ritengo
impossibile un ritorno al socialismo» ha sostenuto Putin al fine di
tranquillizzare investitori stranieri e magnati autoctoni. Ma si è detto
certo che in Russia «c’è una gran fame di eguaglianza».
«ELEMENTI
di socializzazione dell’economia sono possibili, ma solo se associati a
un boom dell’economia. Vogliamo fornire alla stragrande maggioranza
delle persone servizi sanitari e un’istruzione dignitosa. Se parliamo di
socializzazione in questo senso, io sono d’accordo» ha concluso.