il manifesto 20.12.18
Tokyo avrà due portaerei, alla faccia della Costituzione pacifista
Giappone. Pacifico e la Corea del Nord
di Stefano Lippiello
Da
quando il Giappone a bordo di una portaerei – la statunitense U.S.S.
Missouri – ha firmato la sua resa alla fine del secondo conflitto
mondiale, nessuna nave di questo tipo è stata più posseduta dalla marina
giapponese.
L’ATTACCO A PEARL HARBOUR, che nel dicembre di 77
anni fa fece entrare il Giappone nella guerra con gli Usa fu sferrato
proprio portando via nave gli aerei giapponesi a portata di
bombardamento dell’isola. Nell’ambito degli impieghi militari questa
unità viene considerata come un’arma d’offesa, atta a «proiettare
potere» o a portare l’attacco in territori distanti dal proprio. Proprio
questa è stata quindi la questione più controversa delle nuove linee
guida di difesa approvate dal governo nipponico: se il Giappone deve
avere di nuovo delle portaerei. La risposta del governo è stata
positiva. Saranno due ospiteranno una trentina di F35B, aerei a decollo
verticale adatti alla lunghezza delle navi giapponesi, e verranno
impiegate per fare da ponte nella difesa delle due catena di isole
giapponesi, che si stendono tra il Giappone e Taiwan e tra il Giappone e
le Filippine-Papua.
QUESTO ASPETTO è stato al centro del
dibattito politico tutto interno alla maggioranza su come armarsi di una
portaerei senza dichiarare che questa sia appunto una portaerei. Così
si capisce il riferimento al «fare da ponte» in caso di difesa delle
isole più esposte alla percepita crescente minaccia cinese. Gli aerei
non saranno stazionati in modo permanente a bordo delle navi. Ci si
muove al limite delle possibilità linguistiche per salvare la forma del
rispetto della Costituzione pacifista del 1945 che proibisce il
mantenimento di un esercito al giappone.
PROPRIO LA CINA è in cima
alla lista dei timori nipponici che hanno portato alla rielaborazione
delle linee guida. La spesa cinese per la difesa in costante crescita
viene considerata un rischio, oltre ai suoi comportamenti unilaterali
nel Mar cinese meridionalie e nella sempre più intensa presenza di unità
navali cinesi verso il Pacifico. Le due nuove portaerei sono state
finora due unità navali di classe Izumo, che verranno riadattate, in
servizio come porta-elicotteri e usate proprio in missioni per
l’individuazione di sommergibili attorno al Giappone.
Alla
minaccia nordcoreana invece l’amministrazione risponde con due batterie
di missili Aegis e nuovi missili per intercettare lanci ostili. Altro
spazio e budget viene dedicato alla difesa del cyberspazio, un tema che
sarà chiave nelle guerre del futuro e dove il Giappone si sente in forte
arretrato, ma anche qui con dubbi circa la costituzionalità. Questo
potrebbe essere anche un problema di leadership però, se si considera la
notizia di qualche mese fa nella quale il ministro della cybersecurty
giapponese, Yoshitaka Sakurada, aveva dichiarato di fronte ad un
comitato parlamentare di non aver mai usato un computer.
L’OPPOSIZIONE
non ha potuto rispondere alle linee guida in parlamento, in quanto non
più in seduta, conclusa a inizio dicembre. I gruppi parlamentari della
sinistra preparano però un offensiva. Anche i movimenti per la pace non
sono riusciti a far sentire la loro voce in questa decisione. Nessuna
traccia si trova nei media principali di proteste. L’onda delle grandi
manifestazioni del 2015 con decine di migliaia di manifestanti sotto la
Dieta per la pace e contro la «legge di sicurezza», che permette un
estensione delle capacità militari nipponiche, sembra essersi, almeno
per ora, infranta. Il partito Costituzionale democratico guarda con
speranza alle elezioni della prossima estate per il rinnovo della Camera
alta come momento per raccogliere l’insoddisfazione verso il governo.
LO
STORICO MARXISTA Satoshi Shirai inquadra così la questione: «Nel
secondo dopoguerra i gruppi economici e politici che sono al cuore del
nuovo Giappone hanno avuto la ferma volontà di sviluppare l’apparto
militare, indipendentemente da chi fosse il presidente Usa». In questa
logica la politica di Trump di richieste di acquisto agli alleati
avrebbe così solo offerto una buona occasione al gruppo dirigente
giapponese, colta al volo. Per Shirai il più probabile punto di arrivo
di questo sviluppo sarà una sorta di Giappone di prima della guerra, ma
in miniatura, privato di reale autonomia e capacità operativa, in quanto
gli Usa non sembrano avere ancora la volontà di abbandonare la reale
guida militare del Giappone.