il manifesto 19.12.18
Tagli all’editoria, giornalisti in piazza contro la rappresaglia Cinque Stelle-Lega
Edittoria
(non è un refuso). L'attacco alla libertà di stampa del governo Conte è
una ritorsione contro un migliaio di lavoratori che mette a rischio
anche 10 mila posti negli indotti. Giulietti (Fnsi): «È un’aggressione
al diritto dei cittadini di essere informati». Colpite le testate più
critiche delle politiche razziste e della truffa sul cosiddetto "reddito
di cittadinanza" e quelle che svolgono un lavoro di prossimità e
servizio sui territori
di Roberto Ciccarelli
ROMA
La protesta dei giornalisti in piazza Montecitorio ha denunciato la
rappresaglia del governo Cinque Stelle e Lega contro i giornali che
hanno raccontato la verità sulle navi dei migranti; hanno raccolto la
voce delle diocesi contro il «Dl Salvini»; hanno raccontato le
manifestazioni di massa contro il razzismo giallo-verde e smascherato la
riduzione del «reddito di cittadinanza» a un sussidio di povertà
vincolato a otto ore di lavoro gratuito a settimana, formazione
obbligatoria e 5 o 6 mesi di soldi pubblici alle imprese come ha fatto
il Jobs Act di Renzi.
PER IL SINDACATO FNSI e l’ordine dei
giornalisti, la Lega delle cooperative, le redazioni di Avvenire, Radio
Radicale, Il Manifesto, Roma, la Voce di Rovigo, Primorski dnevnik (il
giornale della minoranza di lingua slovena del Friuli Venezia Giulia),
ieri presenti al sit-in, questo è il significato dell’emendamento
Patuanelli, capogruppo Cinque Stelle al Senato, alla legge di bilancio
che taglierà tra il 2019 e il 2021 il fondo da 59 milioni di euro
diretto a 52 testate indipendenti. Nel 2022 il fondo non sarà annullato,
come invece dichiarano esponenti del governo e della maggioranza, ma
riassorbiti dalla presidenza del Consiglio che deciderà, in maniera
discrezionale, a quale soggetto editoriale vicino agli interessi
politici del governo di turno riconoscere il finanziamento pubblico. Nei
fatti, si tratta di una ritorsione contro un migliaio di giornalisti e
poligrafici. Colpire i quotidiani di idee, noprofit, locali e
cooperativi rischia di provocare una crisi che interesserà un’indotto di
circa diecimila persone in quattro anni.
IN QUESTA STORIA il
«mercato», principio religioso usato dai populisti per giustificare il
taglio, non c’entra nulla, per di più in una crisi generalizzata. Emerge
invece il non detto politico che vuole fare tacere il dissenso e
cancellare il valore di bene pubblico non rivale e non esclusivo
dell’informazione. Visto che questo governo nulla può contro i
«giornaloni», allora ricatta economicamente i più piccoli, travolgendo
anche quelli che svolgono un lavoro di prossimità e di servizio per le
comunità.
UNA VENDETTA che favorirà i «giornaloni» in crisi di
vendite. Il taglio dei populisti favorirà infatti gli oligopoli. Una
conseguenza paradossale, e ancora apparentemente ignota, agli «esperti»
del mercato al governo, ispirati dall’idea «anarco-capitalista» per cui
l’accesso all’informazione passa solo dai signori del silicio della
Silicon Valley o dai più modesti imprenditori locali che fondano partiti
con i comici e li governano via piattaforma. Con una differenza: Jeff
Bezos e Laurene Powell, vedova di Steve Jobs, comprano giornali come il
Washington Post o l’Atlantic. I loro presunti imitatori cercano invece
di chiuderli in Italia.
QUESTI ELEMENTI sono emersi anche a piazza
Montecitorio: «L’obiettivo – ha spiegato il presidente Fnsi Beppe
Giuseppe Giulietti – è cancellare le voci critiche affinché
l’informazione si faccia solo in rete e senza domande. Si vuole, come
dice il presidente Trump, al quale si ispirano questi signori,
cancellare la funzione dei giornalisti. È un’aggressione al diritto dei
cittadini di essere informati». «Con questi tagli si vanno a colpire i
giornali locali, l’ossatura dell’informazione del paese» ha aggiunto il
segretario Fnsi Raffaele Lorusso. «Se passasse l’emendamento sarebbe un
tradimento dell’articolo 21 della Costituzione» ha aggiunto Carlo Verna,
presidente dell’ordine dei giornalisti.
LA TESTIMONIANZA di
Antonio Sasso, direttore del Roma, e Roberto Paolo, presidente della la
Federazione Italiana Liberi Editori (File), vicedirettore dello stesso
giornale, è interessante. In un’intervista prima delle elezioni al
quotidiano campano, l’attuale presidente della Camera Roberto Fico (M5S)
aveva sostenuto che «non ci sarebbero stati tagli ai contributi». Pochi
giorni fa si è «adeguato agli ordini di scuderia» in nome della «guerra
alla Casta» (ai giornalisti). Fico ha confuso le acque evocando la
situazione pre-riforma Lotti nel 2017, quando ci sono stati abusi, da
tempo corretti. Il cambio a 360 gradi è stato spiegato così dai due
giornalisti: «Dobbiamo prendere atto che le decisioni non vengono prese
nel palazzo alle nostre spalle [la Camera, ndr.], ma dalla Casaleggio
associati».
SOLIDARIETÀ trasversale dalle opposizioni. «Dovevano
zittire i burocrati della Ue. Alla fine Lega-Cinque Stelle si
accontentano di massacrare i giornali che li criticano» afferma Nicola
Fratoianni (LeU/Sinistra Italiana). «Con i tagli all’editoria si
restringe ulteriormente il perimetro della libertà di stampa. È una
proposta che ha il sapore della rivalsa» sostiene Mara Carfagna (Forza
Italia). «Ci opporremo per contrastare la logica del bavaglio» ha detto
Graziano Delrio (Pd). Di «guerra alle voci libere, al dissenso, alla
libera informazione» parlano i deputati del Pd.
LA MOBILITAZIONE
interessa anche la magistratura. Dopo l’Anm, ieri il procuratore
generale della Corte di appello di Roma Giovanni Salvi ha difeso Radio
Radicale: «È una radio privata che svolge un servizio pubblico
importante».