il manifesto 18.12.18
Editoria, la cancellazione dell’informazione come bene pubblico
Edittoria. Una rappresaglia contro la stampa indipendente, mentre in Europa è tutelata
di Roberto Ciccarelli
La
volontà di Lega e Cinque Stelle di cancellare i contributi pubblici
all’editoria per i media di idee, locali, delle minoranze linguistiche è
un ritorno all’Ottocento. Nell’Inghilterra vittoriana il cancelliere
dello scacchiere, il liberale George Lewis, vide nel libero mercato lo
strumento di controllo delle opinioni non allineate a quelle del
governo. Rispetto a Di Maio, Salvini, Lewis era più onesto. Il mercato
non faceva gli interessi dei lettori, come invece pretendono i
«populisti» che identificano il popolo con il mercato, ma le «preferenze
degli inserzionisti pubblicitari».
Fu questo il modo in cui quel
governo usò il mercato per tutt’altra finalità, ovviamente non
dichiarata, ma sostanziale: indebolire, o cancellare, la stampa della
classe lavoratrice e, in generale, quella critica con il capitalismo e
il liberalismo autoritario dell’epoca. In forma indiretta, gli
oligopolisti del settore, e gli inserzionisti che decidono il successo
di una pubblicazione, acquisirono anche il potere di decidere chi
avrebbe potuto fare un giornale e cosa avrebbe dovuto pubblicare. In
un’epoca diversa, ma con la stessa virulenza ideologica, oggi si
vogliono colpire le voci anti-razziste e anti-capitaliste, di diverso
orientamento culturale.
Nel secondo dopoguerra, in Europa e negli
Stati Uniti, nacque una nuova sensibilità: era interesse generale
tutelare l’informazione, e la produzione culturale indipendente, come un
bene pubblico «non rivale» e non esclusivo. Questo significa che una
persona che guarda un programma, legge una storia o un articolo non
impedisce ad altri di farlo perché, una volta di dominio pubblico, i
contenuti sono accessibili da tutti. Questo orientamento, consolidato
nelle legislazioni già a partire dall’inizio degli anni Settanta, è
stato adottato perché tali benefici non possono essere misurati solo
alla luce nei prezzi della produzione di un giornale, una radio o una
Tv. Se attraverso la lettura, la visione di un video, l’ascolto di una
trasmissione radiofonica, il cittadino conquista una consapevolezza
critica dell’attualità, e ha maggiori probabilità di impegnarsi, allora è
interesse pubblico sostenere il pluralismo dell’informazione.
Questi
principi sono stati adottati per riequilibrare un mercato, storicamente
caratterizzato da editori «non puri», come quello italiano soggetto a
concentrazioni oligopolistiche oggi ancor più inedite, e una stampa
privata meno diffusa, ma comunque radicata sui territori e storicamente
espressione di orientamenti politici riconosciuti.
Nell’ultimo
cinquantennio l’esigenza di tutelare il pluralismo, e riequilibrare il
mercato, ha portato la Francia, Paesi Bassi, Svezia, Portogallo, la
Germania ad adottare legislazioni garantiste. La Francia e l’Italia
hanno un modello misto: i media ricevono importi inferiori ai canoni e
agli stanziamenti pubblici, che sono combinati con i proventi della
pubblicità e di altre attività commerciali. Il sostegno si è articolato
in maniera indiretta e diretta. Dopo varie riforme, che hanno ristretto
l’accesso ai fondi a causa di violazioni della normativa riscontrate in
13 casi (fu il caso dell’Avanti, ad esempio) nel nostro paese non ci
sono più forti aiuti indiretti, mentre quelli diretti sono stati
limitati a 48 testate per circa 60 milioni di euro all’anno.
Se si
confrontano oggi i dati ufficiali sul finanziamento pubblico
all’editoria, risulta che l’Italia, rispetto a Francia, Germania, Gran
Bretagna, Stati Uniti, è penultima come stanziamento pubblico
complessivo , già drasticamente ridotto, e ultima come spesa pro capite
(43 euro). Proprio quello che la rappresaglia di Lega e Cinque Stelle
vuole cancellare, senza aspettare l’entrata in vigore nel 2019 della
«riforma Lotti» che ha modificato profondamente il settore solo nel
2017.
Tutto, teoricamente, dovrebbe tornare ostaggio del mercato.
Gli oligopoli ringraziano per il favore atteso in campagna elettorale e,
ora, vicino a diventare realtà.