il manifesto 18.12.18
Israele, una legge per deportare i parenti degli attentatori palestinesi
Una
commissione ministeriale porterà alla Knesset un disegno di legge che
prevede il "trasferimento" con la forza delle famiglie dei palestinesi
autori di attacchi. Intanto Airbnb revoca l'esclusione dalle sue liste
delle case dei coloni
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Difficilmente avrà qualche effetto la contrarietà manifestata dal
procuratore generale Avichai Mandelblit. La commissione ministeriale per
la legislazione è intenzionata a portare al voto della Knesset il
disegno di legge che consentirà il “trasferimento forzato”, la
deportazione, delle famiglie di palestinesi responsabili di attentati.
La proposta viola i diritti umani e potrebbe sfociare in una condanna
internazionale di Israele, fa notare Mandelblit. Ma i ministri
israeliani fanno spallucce. Il loro obiettivo è autorizzare i comandi
militari a “ricollocare”, così scrivono, i parenti degli attentatori,
che saranno allontanati dalle loro case e portati in altre località, se
non addirittura mandati a Gaza, già una prigione di fatto per oltre due
milioni di persone.
I governi israeliani, non solo quello in
carica, hanno sempre considerato il potere di deterrenza nei confronti
di palestinesi, arabi e nemici, come «la pietra angolare della
sicurezza». Non sorprende perciò che il premier Netanyahu abbia dato il
suo pieno appoggio alla legge in cantiere. «I giuristi dicono che è
contraria alla legge e che sarà contestata ma io non ho dubbi
sull’efficacia di questo strumento», ha commentato. Secondo il ministro
dell’istruzione Naftali Bennett, l’esercito è costretto a badare troppo
alle leggi a danno della «lotta al terrorismo». I militari, spiega
Bennett, piuttosto devono avere le mani libere e fare ciò che credono,
incluse le deportazioni dei parenti degli attentatori che nella
stragrande maggioranza dei casi colpiscono soltanto persone innocenti,
anche bambini, e, lo pensano anche alcuni dirigenti dei servizi di
sicurezza, non servono a nulla. Lo dimostrano le tante demolizioni di
case degli attentatori eseguite sino ad oggi. La malattia da debellare
piuttosto è l’occupazione militare e coloniale dei Territori
palestinesi. Ma Israele non cambia politica. A Shweika (Tulkarem) ieri
le ruspe dell’esercito hanno ridotto in un ammasso di macerie
l’abitazione della famiglia di Ashraf Naalwa che lo scorso ottobre aveva
ucciso due israeliani, nella colonia di Barkan. Naalwa è stato freddato
la scorsa settimana da un commando israeliano nel campo profughi di
Askar (Nablus).
La distruzione di case, edifici e strutture
palestinesi è una pratica diffusa che va ben oltre i confini della
reazione ad attentati. Nei giorni scorsi, denuncia l’Ufficio Onu per gli
affari umanitari (Ocha), le forze armate israeliane hanno demolito la
scuola della comunità beduina di As Simiya, a sud di Hebron, pronta ad
aprire le sue sette aule a cinquanta studenti. Si trattava di una scuola
fatta di cointainer, costata circa 40 mila euro, e avrebbe permesso ai
ragazzi di non dover andare ogni giorno fino ad Al Samou, lontano alcuni
chilometri. Invece per Israele quella scuola era illegale, assemblata
senza il suo permesso. Adesso si teme che le ruspe entrino in azione
anche a Khan al Ahmar, il piccolo insediamento beduino dove sorge la
Scuola di gomme costruita dalla Ong italiana Vento di Terra, non ancora
demolito grazie all’intervento dell’Ue e dell’Onu sul governo
israeliano.
Israele la deterrenza la applica solo nei confronti
dei palestinesi e non anche dei suoi coloni, protagonisti negli ultimi
giorni di violente rappresaglie, a colpi di pietre, contro case e
automobili palestinesi. Violenze criticate persino dall’inviato degli
Stati uniti in Medio oriente Jason Greenblatt. A dare una mano ai coloni
è anche il procuratore Mandelblit. Contrario alle deportazioni dei
parenti degli attentatori, Mandelblit è stato pronto ad aprire la strada
alla legalizzazione di 66 avamposti coloniali in Cisgiordania richiesta
dal governo. Inoltre ieri sera Airbnb ha ritirato il provvedimento con
il quale aveva eliminato dalle sue liste gli alloggi dei coloni indicati
dai proprietari in Israele mentre si trovano in un territorio
palestinese occupato.