il manifesto 16.12.18
Libertà di stampa e pluralismo il governo torna all’attacco
Editoria. Una rappresaglia senza precedenti che premia gli oligopoli editoriali. A rischio 10 mila posti di lavoro
di Roberto Ciccarelli
I
Cinque Stelle hanno ripresentato l’emendamento assassino della libertà
di stampa e del pluralismo nell’editoria. Quello che porta in calce la
firma del capogruppo Stefano Patuanelli è stato segnalato in commissione
Bilancio al Senato e contiene un testo rimodulato, come già annunciato
dal sottosegretario all’editoria Vito Crimi (M5S), rispetto a quello
prima presentato, e poi ritirato alla Camera che prevedeva l’abolizione
dei contributi pubblici all’editoria dal primo gennaio 2020. Ora il
testo prevede nel 2019 un taglio dei contributi diretti ai quotidiani e
periodici pari al 20% del fondo calcolato sulla base della differenza
tra l’importo spettante e 500 mila euro. Nel 2020 il taglio salirà al
50%, nel 2021 sarà del 75%. L’azzeramento è previsto dal 2022. A partire
dal 2020, è prevista inoltre l’abrogazione della legge 230 del 1990 sui
contributi alle imprese radiofoniche private che svolgono attività di
informazione di interesse generale. Questa norma penalizzerà gravemente
Radio Radicale.
TRA I QUOTIDIANI nazionali coinvolti ci sono
Libero, Avvenire, Italia Oggi, il manifesto, il Foglio. Tra quelli
locali ci sono il Roma-Giornale di Napoli, il Corriere di Romagna, la
Voce di Rovigo, Cronache Qui Torino, Latina Oggi, Ciociaria Oggi, Il
Quotidiano del Sud. Contro il taglio è intervenuto sette volte il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, due la presidente del
Senato Elisabetta Alberti Casellati. Il presidente della Camera Roberto
Fico (M5S) resta in silenzio. Negli ultimi due mesi sono state molto
dure le critiche dei sindacati Fnsi e Stampa Romana, dell’ordine dei
giornalisti, della federazione della stampa cattolica (Fisc), della
Federazione italiana liberi editori (File), dell’Alleanza delle
cooperative.
La Lega aveva preso inizialmente le difese del pluralismo nell’informazione.
Ieri
Salvini ha cambiato registro e ha attaccato «Avvenire»: «I suoi milioni
di contributi potrebbero aiutare un disabile in difficoltà. Chi non
vende perché scrive cose strane troverà altri lettori. Penso che la
libertà di stampa debba corrispondere alla libertà del mercato e alla
fiducia dei lettori».
Una provocazione perché le politiche per la
disabilità sono finanziate attraverso il fondo per le politiche sociali,
acui il governo destina solo 100 milioni all’anno per i prossimi tre
che non recuperano i tagli. È una rappresaglia contro il quotidiano
critico con le politiche sull’immigrazione di Salvini. Alla base c’è il
pregiudizio liberista per cui l’interesse dei lettori coincida con
quello del mercato.
E che se i giornali non vendono significa che i
lettori scelgono altri più competitivi. È una falsità, considerato che
la crisi delle vendite riguarda tutti, a cominciare dai grandi
quotidiani. In questione è il grande, e irrisolto, problema della rete,
almeno in Italia.
L’EMENDAMENTO taglierà 60 milioni di euro circa,
mettendo in crisi il lavoro di almeno mille persone, tra giornalisti e
poligrafici, senza contare gli indotti, calcolati in diecimila posti di
lavoro circa. A questa potenziale crisi sociale si dovrà rimediare con
gli enti di categoria e, soprattutto, con le finanze pubbliche. Questo
risultato è, per ora, occultato nelle dichiarazioni pubbliche dello
stesso ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio, il cui compito
dovrebbe essere in teoria quello di tutelare il lavoro e, semmai,
provare a crearlo.
Più importante dell’economia materiale è la
propaganda ispirata a quella che George Orwell in 1984 chiamava
«bispensiero»: la capacità di affermare un fatto e il suo contrario. In
questo caso, in nome del pluralismo, si vuole annientare il pluralismo.
Al di là di questi paradossi si creerà un nuovo esercito di precari,
cassintegrati e disoccupati.
Il presidente della regione Molise
Donato Toma ieri ha rinnovato la richiesta di un tavolo di confronto tra
le regioni e il governo «per scongiurare il pericolo che molte testate
finiscano sul lastrico e siano costrette a chiudere». Contro la chiusura
di Radio Radicale è intervenuto Francesco Minisci, presidente
dell’associazione nazionale magistrati (Anm): «Auspichiamo che possa
proseguire la sua opera di servizio pubblico» ha detto. A dire di Di
Maio questo esito sarebbe evitato «dando loro tempo di accelerare
l’azione rivolta alla raccolta pubblicitaria». Non emerge, al momento,
l’intenzione di riformare il mercato pubblicitario.
IL GOVERNO
Lega-Cinque Stelle farebbe in questo modo l’interesse dei grandi
editori. Come ha ricordato la File nessun grande giornale riceve i
contributi. Anzi, a questi soggetti «sempre più in crisi di copie e di
inserzionisti fa gola il bacino di pubblicità delle piccole testate». Se
il tentativo di cancellare la residuale tutela contro un mercato
dominato da oligopoli andrà in porto, il governo favorirà questi grandi
gruppi. Si dice populismo, si legge capitalismo.