il manifesto 16.12.18
D’Alema: «Noi, la sinistra che ha smesso di criticare il capitalismo»
Democrack. D’Alema ai vent’anni di Italianieuropei. Lettera di Zingaretti: il nostro futuro si intreccerà
di Daniela Preziosi
«C’è
stata una sconfitta culturale, noi, la sinistra, abbiamo cessato di
essere diffidenti e critici nei confronti del capitalismo. Abbiamo
perduto lo spirito critico che aveva animato a lungo la sinistra».
Quella di Massimo D’Alema al convegno per i vent’anni della Fondazione e
della rivista Italianieuropei è l’autocoscienza di una generazione
politica che ha perso la battaglia «ingloriosamente, senza lottare»: ha
visto nella globalizzazione il potenziale di crescita ma non si è
attrezzata a combattere la parallela ed esponenziale crescita delle
diseguaglianze.
«Abbiamo colpevolmente confuso liberalismo con
liberismo» dice Mario Hubler, segretario della Fondazione. Goffredo
Bettini più tardi parlerà di «cedimento morale» del fronte
socialdemocratico, ricorderà il Blair della seconda guerra di Libia come
emblema di «una desolante deriva». (Parentesi: dall’89 in avanti c’è
stata un’altra sinistra critica con la svolta del Pci, con la
globalizzazione, i cedimenti e le guerre. Qui non viene ricordata, forse
essa stessa è dimentica di sé, ma questa sarebbe un’altra storia e
chiudiamo la parentesi).
SOTTO LA LENTE DI D’ALEMA quegli anni
novanta in cui al governo dell’Europa a 15 stati c’erano quasi solo
socialisti. Oggi che «la crisi dell’Europa è crisi di progetto», «dove
abbiamo sbagliato?». «Siamo stati profeti disarmati», si risponde. Le
socialdemocrazie non hanno saputo dotare ai cittadini «il potere
europeo», insomma un’Unione democraticamente scelta. Ed ora i sovranisti
raccolgono questa giusta esigenza. Serve una «proposta di ’sovranismo
europeo’, un radicale cambiamento. Se invece saremo solo il volto buono
dell’establishment l’elettorato non avrà pietà di noi». Ma la scelta
«burocratica» dei socialisti (e del Pd) di ricandidare alla presidenza
della commissione europea l’ex vice di Junker non va in questo senso,
ammette Andrea Orlando.
«UN NUOVO PATTO tra i cittadini e
l’Europa» è il fuoco delle relazioni della mattina, quella della
ricercatrice del Cnrs francese Anne-Laure Delatte, che affronta
l’analisi del «manifesto per democratizzare l’Europa» proposto
dall’economista Thomas Picketty; e quella della filosofa Donatella Di
Cesare. Sala affollatissima per tutte le sei ore di interventi, parterre
de roi, molti ex Pci, oggi variamente posizionati. Siamo al Rome Hotel
Life, era la sede dei Ds, dopo la ritirata da Botteghe Oscure: «Tornare
qui è un’emozione fortissima», dice Livia Turco.Va in scena il disgelo
fra i dem impegnati nelle primarie Pd, tendenza Zingaretti – ci sono
Andrea Orlando e Goffredo Bettini – e la «Ditta». Ma c’è anche Mario
Tronti, il padre dell’operaismo italiano, Bersani, Vendola e Laura
Boldrini, lei titolare di una proposta esplicita «di una lista comune
alle europee». C’è unanimità sulla necessità di «ricostruire», leggasi
tornare insieme. «Questa festa di compleanno sembra un congresso»,
scherza Gianni Cuperlo. «È perché abbiamo tutti voglia di fare un
congresso insieme», replica a tono D’Alema. «Dopo il 4 marzo abbiamo
perso un anno, tutti a sinistra, senza fare un congresso», sferza
Antonio Bassolino sommerso dagli applausi: ce l’ha con i
traccheggiamenti Pd ma anche quelli di Leu. «A me sembra una direzione
dei Ds», chiosa Roberto Speranza. Che oggi a Roma terrà l’assemblea di
superamento della sua Mdp. Titolo: «Ricostruzione». Appunto. «Bisogna
ricostruire un campo politico o non conteremo più nulla in futuro», è la
tesi di D’Alema. E di «campo unitario di tutte le sinistre» parla
Bettini.
IL CANDIDATO ALLE PRIMARIE PD Zingaretti non c’è, forse
per evitare una foto fra ex che rischia di virare in seppia. Ma il
messaggio che invia all’ospite è chiaro: «Sono certo che ci saranno con
te e con la Fondazione altre occasioni per confrontarci e intrecciare i
nostri pensieri politici e le nostre proposte per il futuro».
C’È
ANCHE L’EX CANDIDATO Minniti. Siede in prima fila, il suo intervento è
nel programma. Ma si fa nero in volto quando la professoressa Di Cesare
scandisce: «Come si può combattere la xenofobia e il criptorazzismo e
poi abbandonare i migranti nei campi libici? Abbiamo inseguito le
politiche delle destre, non siamo stati in grado di roversciarne la
narrazione sui migranti». Applausi. Poco dopo Minniti se ne va. Ai
cronisti che lo inseguono dice: «Ho il mal di schiena».
OLTRECHÉ
SULL’EUROPA (tutti dicono no al fronte repubblicano di Calenda per dire
no a quello di Renzi) gli interventi si intrecciano anche sulla
strategia del dialogo con i 5 stelle per «disarticolare» il governo
giallo-verde: «Nel Pd il congresso è fra chi non ci vuole fare il
governo e chi non ci vuole parlare», ragiona D’Alema. Invece si deve: «È
politica, è buonsenso. Non si può non parlare con chi, milioni di
nostri ex elettori hanno scelto come propri rappresentanti. Come con la
Lega nel ’94». Nel Pd basta la parola «M5S» per scatenare la polemica.
Ma all’ineluttabilità di quel dialogo, prima o poi, credono anche
Cuperlo, Orlando e Bettini.