il manifesto 15.12.18
Aborto, in Irlanda cade un altro tabù
«Una
giornata storica». L’interruzione di gravidanza non è più reato. Ma
nella legge resta qualche punto critico, come l’obiezione di coscienza e
il termine minimo di tre giorni fra il primo appuntamento con il medico
e l’intervento
di Vincenzo Maccarrone
DUBLINO
Dopo il voto di giovedì notte del Senato manca solo la firma del
presidente della Repubblica Michael D. Higgins (fresco di rielezione)
perché il diritto all’aborto diventi finalmente legge nella Repubblica
d’Irlanda. Sono passati quasi sette mesi dallo storico referendum dello
scorso 25 maggio che ha sancito a larghissima maggioranza l’abolizione
dell’ottavo emendamento della Costituzione, che proibiva l’aborto in
ogni circostanza, se non in caso di pericolo di vita per la madre.
All’epoca i due terzi dei votanti si erano espressi a favore
dell’abolizione, consegnando al parlamento un inequivocabile mandato per
legiferare sulla questione.
UNA VITTORIA ENORME per i movimenti
femministi e per i diritti civili che per anni avevano lottato per
cambiare una legislazione inumana che costringeva ogni anno migliaia di
donne a recarsi all’estero per abortire legalmente, o a abortire senza
assistenza medica in Irlanda, ordinando la pillola su internet e
rischiando fino a 14 anni di carcere. Una legislazione che nel 2012
aveva anche causato la tragica morte di una giovane donna indiana,
Savita Halappanavar, per una setticemia a seguito di un aborto negato.
La
nuova legge prevede la possibilità di abortire senza restrizioni fino a
12 settimane dal concepimento, con la possibilità di estendere il
termine in caso di malformazioni fatali del feto o gravi rischi per la
salute della madre. Orla O’Connor, co-direttrice di Together for Yes, la
campagna referendaria a supporto dell’abolizione dell’ottavo
emendamento, ha parlato di «una giornata storica nella realizzazione dei
diritti delle donne in Irlanda». Il ministro della Salute Simon Harris
ha commentato il voto dicendo che «il popolo d’Irlanda ha votato per
abrogare l’ottavo emendamento perché potessimo prenderci cura delle
donne con compassione. Oggi abbiamo varato la legge per rendere tutto
questo una realtà».
Secondo Harris, gli ospedali irlandesi saranno
in grado di praticare le prime interruzioni di gravidanza a partire dal
primo gennaio 2019, anche se nel paese permane scetticismo
sull’effettiva capacità del sistema sanitario di accogliere rapidamente
la nuova legislazione.
Alcuni ospedali hanno già dichiarato di
essere pronti a rispettare il termine fissato dal ministro delle Salute.
L’Irish Times, il più importante quotidiano irlandese, ha notato che al
momento non è dato sapere quanti medici praticheranno l’interruzione di
gravidanza né quali ospedali siano effettivamente pronti per l’inizio
dell’anno nuovo.
Se da un lato la legislazione costituisce un
grande passo avanti rispetto al passato non mancano tuttavia vari
problemi, che i movimenti per il diritto all’aborto non hanno mancato di
sottolineare e sui quali nei prossimi mesi continueranno a mobilitarsi.
La legge introduce per una donna che volesse abortire un termine minimo
di tre giorni da far passare fra il primo appuntamento col medico e
l’interruzione di gravidanza. Giustificato facendo riferimento
all’Olanda, che ha una legislazione simile, questo appare in realtà il
risultato di un compromesso all’interno del Fine Gael, il partito di
centro-destra attualmente al governo, per convincere l’ala più
conservatrice a sostenere il referendum e la legislazione sull’aborto.
La misura è stata criticata sia da medici come Peter Boylan, il capo
dell’Institute of Obstetricians and Gynecologists, che ha definito la
misura «paternalistica», sia dai movimenti, che hanno fatto notare come
questa scelta impatterà in maniera sproporzionata sulle donne working
class e migranti, per le quali vedere un dottore due volte in un tempo
ravvicinato potrebbe risultare più difficile. Un secondo problema è
quello, ben noto in Italia, dell’obiezione di coscienza di medici e
professionisti sanitari. Al momento la legge prevede la possibilità
dell’obiezione di coscienza, anche se l’obbiettore dovrà comunque
riferire la donna ad un medico non obbiettore. Se però un numero molto
elevato di medici e professionisti sanitari dovesse professarsi
obiettore, si rischierebbe di riproporre una situazione simile a quella
italiana, dove in molte zone è il diritto all’aborto è de facto limitato
dall’assenza di medici non-obiettori.
Organizzazioni come Amnesty
International hanno poi notato come la legislazione manchi di chiarezza
nella regolamentazione degli aborti oltre le 12 settimane. Cosa fare
nel caso di malformazioni del feto severe ma non fatali? Come definire
«un grave rischio di salute»? Occorrerà quindi continuare la lotta
perché l’accesso all’aborto sia davvero universale in Irlanda, anche se
il voto di giovedì segna comunque un passo in avanti davvero impensabile
fino a pochi anni fa.