Il Fatto 15.12.18
Il vero papiro e i falsi esperti
La
Procura stabilisce che il documento non è autentico sulla base di un
esposto di Canfora, la cui tesi è minoritaria tra gli esperti
internazionali, e senza fare accertamenti scientifici o sentire il
venditore
Chiasso in su, tira un’altra aria: quando Luciano
Canfora, apostolo della falsità del papiro, ha postato su papylist, la
mailing list per i papirologi di tutto il mondo, un comunicato sulla
“definitiva chiusura del caso” nelle stanze della Procura torinese,
Andrea Jördens, presidente dell’Associazione internazionale papirologi,
gli ha chiesto: “Ma che c’entra questo con la scienza?”. Vediamo gli
antefatti. Il Papiro di Artemidoro è un rotolo papiraceo emerso nel 1971
in mano al dott. Simonian (che ha venduto molti papiri alle università
di Treviri, Heidelberg, e a Milano il famoso Posidippo). Come spesso
accade ai papiri, il luogo di rinvenimento non è noto: in Germania
arrivò entro un ammasso di cartapesta. È un papiro singolare, per le
dimensioni (è lungo due metri e mezzo), ma soprattutto perché oltre a
cinque colonne di testo greco contiene una carta geografica e due serie
di disegni, di animali e di figura umana. Seppi che era sul mercato
verso il 1997, dopo i necessari accertamenti sull’autenticità e la
liceità della vendita provai ad acquistarlo per il Getty Research
Institute (Los Angeles), di cui ero allora direttore. Ma il prezzo
richiesto era più alto di quanto disponevo in bilancio.
Il grande
paleografo Guglielmo Cavallo, a conoscenza del Papiro, mi mise in
contatto con Claudio Gallazzi, papirologo dell’Università di Milano, e
questi con Bärbel Kramer, papirologa a Heidelberg. Anni dopo, convinto
come ero e sono che un documento di tale importanza debba essere in una
collezione pubblica, ne parlai con Giuliano Urbani, allora ministro dei
Beni culturali, che ne suggerì l’acquisto alla Compagnia di San Paolo,
perfezionato nel 2004. Prima dell’edizione critica (2008), il Papiro fu
presentato in tre mostre, a Torino e poi ai Musei Egizi di Berlino e di
Monaco. Un articolo di Canfora sul Corriere della Sera (15 settembre
2006) ne sostenne la falsità, e io gli risposi su Repubblica.
Da
allora parte una controversia: da un lato gli studi scientifici,
centinaia in tutto il mondo, dall’altro la campagna mediatica (quasi
soltanto italiana). Canfora interviene sul tema con un’intensità
(qualcosa come 10 libri, 6 fascicoli di una sua rivista e 40 articoli di
giornale) con cui non saprei mai scendere in gara. Questa campagna,
fortunata nei media nostrani, non ha avuto successo nella letteratura
scientifica: dei circa 200 studiosi che se ne sono occupati, se si
escludono da un lato Canfora e il suo gruppo di lavoro, dall’altro gli
editori del Papiro (me compreso) e collaboratori, la stragrande
maggioranza si è espressa in favore dell’autenticità. Per citare solo
due grandissimi grecisti, Martin West ha definito “disingenuous” (in
mala fede) l’argomentare di Canfora, e Wofgang Luppe ha scritto
sull’autorevole rivista Gnomon che la genuinità del Papiro è fuori
discussione. Molti aspetti del Papiro sono oggetto di dibattito
scientifico: Giambattista D’Alessio ha dimostrato che i segmenti del
rotolo vanno rimontati in un ordine diverso da quello del restauro
eseguito a Milano; alcuni studiosi attribuiscono tutto il testo del
Papiro ad Artemidoro di Efeso, altri ritengono che sia sua solo una
parte. Temi specialistici, che non mettono in dubbio l’autenticità del
Papiro e la sua datazione al I secolo d.C., confermata da analisi
paleografiche, fisiche e chimiche.
Ma che cosa ha da dire il
procuratore Spataro? Il suo documento, che accusa di truffa Simonian
fondandosi su un esposto di Canfora (2013), non è una “sentenza”, come
qualche giornale ha scritto, ma una richiesta di archiviazione (accolta
dal Gip): invitiamo a leggerlo online sul fattoquotidiano.it. La
struttura argomentativa è tutto un ragionare sulle colpe dell’accusato,
per poi dire all’ultima pagina che il reato (se c’era) è caduto in
prescrizione. Su 34 pagine, metà sono dedicate a divagazioni o a
testimonianze su fatti che nulla hanno a che vedere con l’autenticità
del Papiro. Fra i testimoni ascoltati, l’unico papirologo è Gallazzi,
che ne riafferma l’autenticità. Ma in sede di conclusioni si assumono
come inoppugnabili le asserzioni di Canfora (l’unico di cui si citino le
opere), in quanto “sostiene motivatamente” la falsità. Spataro confessa
di non aver esaminato le 700 pagine dell’edizione critica, bastandogli
“alcune pagine, reperibili sul web, acquisite agli atti del
procedimento”; né ha cognizione dell’abbondante bibliografia e degli
argomenti degli studiosi che si sono pronunciati a favore
dell’autenticità. Ricorda che i carabinieri del Nucleo Tutela del
patrimonio culturale di Roma raccomandarono di “nominare un consulente
scientifico ‘terzo’”, ma ci rivela che lo ritenne inutile.
Spataro
proclama che la foto dell’ammasso papiraceo “è risultata un clamoroso
falso”, e che “tale conclusione non è più contestata”, ma cita solo
l’esperto di Canfora (il vicequestore Silio Bozzi) e ignora le
confutazioni del grande filologo Jürgen Hammerstaedt e degli esperti di
fotografia Paolo Morello e Hans Baumann. Sposa la tesi canforiana che il
Papiro sarebbe l’opera di un falsario del sec. XIX, tal Simonidis,
quando poi lo svedese Tommy Wasserman, che ha studiato i papiri
notoriamente falsificati dal Simonidis, lo esclude espressamente.
Valorizza la testimonianza di Eleni Vassilika, già direttrice del
Pelizaeus-Museum di Hildesheim, perché “fece emergere dei dubbi
sull’autenticità di vari reperti lì allocati, che erano stati acquistati
dal Simonian”, ma tace che il tribunale tedesco si pronunciò a favore
di Simonian, e la Vassilika fu allontanata dalla direzione del museo
(Die Welt, 25 marzo 2004).
Spataro eredita poi da Canfora un
approccio schizofrenico: sostiene che il Papiro è un falso, ma anche che
l’Egitto dovrebbe rivendicarlo come autentico. Immagina che le
illazioni di Canfora sugli inchiostri usati nel papiro siano confermate
da “accertamenti tecnici recentemente disposti dal MiBAC”, per poi
riconoscere una pagina dopo che “tali analisi sono ancora in corso”. E
ignora i risultati delle analisi pubblicate da Pier Andrea Mandò e altri
su riviste scientifiche internazionali, che vanno in direzione opposta a
quanto asserito da Canfora. È sulla base di questo zoppicante
argomentare che Spataro si è convinto che ogni perizia è inutile, poiché
“la certezza del fatto è abbondantemente provata, quanto meno sulla
base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”. Ma tali indizi
erano davvero abbastanza per non consultare esperti, per ignorare la
letteratura scientifica, per non ascoltare nemmeno Simonian, accusato di
truffa? Ed era proprio inevitabile far scattare i termini della
prescrizione, impedendo così al Simonian di poter chiedere una perizia
di parte? Emettendo di fatto, al riparo della prescrizione, un giudizio
di colpevolezza senza ascoltare pareri terzi?
Insomma, il
documento Spataro non aggiunge nulla a quel che si sapeva sul Papiro, e
adotta l’opinione di un solo studioso ignorando quasi tutta la
bibliografia scientifica. Eppure è su questa base che molti hanno
scritto sui giornali con vari gradi di stoltezza, fingendo di scambiare
un pronunciamento di tal fatta per un meditato giudizio scientifico.
Quanto al dottor Spataro, se con la sua dissertazione aspira a una
laurea in papirologia, la sentenza è questa: bocciato.