il manifesto 15.12.18
Governo pronto al blitz sui contributi editoria
Affondo al pluralismo. Ghigliottina nella manovra contro la stampa in cooperativa e non profit. E la Lega resta a guardare
di Matteo Bartocci
ROMA
Il nostro obiettivo è disintossicare le testate dai contributi pubblici
dando loro il tempo di accelerare la raccolta pubblicitaria». Luigi Di
Maio, in veste di ministro per lo Sviluppo, annuncia alla commissione di
vigilanza Rai l’arrivo nella legge di bilancio di un emendamento del
governo che abbatterà in tre anni i contributi diretti all’editoria fino
ad azzerarli del tutto.
«L’emendamento – spiega ancora il leader 5
Stelle – tutela le testate locali che hanno difficoltà a raccogliere la
pubblicità con un tetto» (al di sotto del quale il finanziamento resta
almeno nei tre anni, ndr)».
Il ministro – senza citarlo
espressamente -, critica Avvenire (il quotidiano più grande che riceve i
contributi diretti) e attacca invece in modo aperto Radio Radicale:
«Controllassero i loro costi, ci sono radio sul mercato che spendono
molto meno».
Il ministro, già che c’è, annuncia anche il varo di
un canale Rai Istituzioni che, in prospettiva, forse potrebbe svolgere
la funzione di cronaca parlamentare svolta oggi dalla radio fondata da
Pannella.
Una radio, per inciso, che non trasmette altro che
requiem (l’unica musica diffusa) e cronache integrali di processi o
eventi politico-istituzionali, con un archivio digitale pubblico
sterminato e inestimabile.
«Libertà di informazione è non dipendere da un emendamento alla legge di bilancio»
Il paradosso Di Maio
Di
Maio dà la sua motivazione per questi tagli: «Libertà di informazione è
non dipendere da un emendamento alla legge di bilancio».
Un
ragionamento paradossale, perché è proprio un suo emendamento alla legge
di bilancio a mettere a rischio la libertà di informazione. Senza il
suo emendamento, infatti, il fondo per il pluralismo resterebbe
governato dalla legge e non dall’arbitrio di un ministro.
IL
DIPARTIMENTO EDITORIA oggi ha solo una funzione amministrativa: un
risultato storico raggiunto soltanto nel 2017 dopo un duro scontro con
il governo Renzi sulla stessa identica materia («Un solo padrino»,
titolammo allora con una foto in prima pagina regalataci da Al Pacino
con in mano il manifesto).
All’epoca Renzi accarezzava la pancia
grillina con i tagli ai giornali ma finì per far approvare una legge
seria e dai costi contenuti.
Una legge parlamentare, però, non un
atto del governo in una manovra di fine anno blindata da una tripla
fiducia con nessuna discussione in commissione o in aula.
Un modo
di legiferare che se l’avesse fatto il premier di Rignano i 5 Stelle si
sarebbero incatenati ai portoni delle camere in diretta Facebook.
Invece
va così: un Def carta straccia, una fiducia alla camera su un testo
vuoto, la commissione Bilancio del senato costretta ieri a chiudere i
lavori per mancanza dei testi da parte del governo.
Mentre a due
settimane dall’esercizio provvisorio il ministro dell’Economia è chiuso a
Bruxelles in trattativa perenne con la commissione non solo sulle
misure concrete ma perfino sui saldi della manovra.
Uno spettacolo indecente a cui, purtroppo, le istituzioni e il paese sembrano rassegnati.
LA
LEGA FA IL PESCE in barile. C’è chi parla di accordo chiuso
direttamente da Salvini, che avrebbe scambiato la chiusura dei giornali
tanto cara ai 5 Stelle con altre contropartite nella manovra, magari
fatte di cemento e tunnel e non di povera carta.
La pressione sulla maggioranza però è fortissima. Assordante.
Si sgolano da giorni i parlamentari di Pd, Leu, Fdi e Forza Italia contro i tagli al pluralismo.
La presidente del senato è intervenuta già due volte negli ultimi giorni. Mattarella addirittura sette. (Fico non pervenuto).
Ma lo scandalo monta anche fuori dal parlamento.
Soltanto
nella giornata di ieri hanno chiesto al governo di astenersi dal taglio
l’Associazione stampa parlamentare, l’ordine nazionale dei giornalisti e
il sindacato Fnsi, la Federazione della stampa cattolica (Fisc), tutte
le associazioni degli editori medio-piccoli.
Alla vigilia
dell’inevitabile rodeo della fiducia, dopo gli ordini del giorno
approvati in moltissimi enti locali, è quasi costretta a intervenire
anche la Conferenza Stato-Regioni, il cui presidente Bonaccini chiede al
governo non solo di tutelare le radio-tv locali nella nuova graduatoria
unica per il riparto dei fondi pubblici ma anche di non cancellare il
fondo per il pluralismo per le testate storiche nazionali e non.
DI
MAIO FA ORECCHIE da mercante. Se davvero fossero vere le bozze che
girano del suo emendamento, si avrebbe il paradosso del taglio dei
contributi diretti ai giornali in cooperativa e non profit dal 2019 e
quello dei contributi indiretti (che vanno a tutti) dal 2020.
Sì, forse ha ragione: questa è davvero una politica tossica.