il manifesto 13.12.18
Dentro la rivoluzione del mercato mondo
Marxismo.
«200 Marx. Il futuro di Karl». Si apre oggi al Macro di Roma un
convegno internazionale che celebra, con lo sguardo al futuro, il
bicentenario del Moro. Anticipiamo un ampio stralcio di un testo che
sarà presentato nella sessione «Per la critica del capitalismo globale»
in programma domani
di Sandro Mezzadra
Intervenire
a un convegno su Marx (o meglio sul suo «futuro») in una sessione
intitolata Per la critica del capitalismo globale comporta qualche
esitazione. Di che cosa siamo chiamati a parlare? Della critica del
nostro presente facendo tesoro della lezione di Karl? O piuttosto della
critica che quest’ultimo ha articolato nel corso della sua vita, in un
tempo ormai lontano, di un modo di produzione capitalistico fin dalla
sua origine «globale»? Non è per me una domanda retorica. Trascorsa
l’epoca della damnatio memoriae, quando la semplice menzione di Marx (in
particolare in Italia) determinava commiserazione o alzate di ciglia, è
bene resistere alla tentazione di applicare linearmente all’analisi del
presente le categorie da lui elaborate. Profondamente «intempestivo»,
secondo l’azzeccata definizione di Daniel Bensaïd, Marx ha intrattenuto
un rapporto complesso – di adesione e di scarto, di appropriazione e di
sottrazione – con il proprio tempo. Il suo pensiero ne è fortemente
segnato: leggere (o rileggere) oggi le sue opere significa esporsi a
questa intempestività.
LA NOSTRA RICERCA «deve mettere Marx a
confronto non con il suo tempo, ma con il nostro tempo. Il Capitale deve
essere giudicato sulla base del capitalismo di oggi. Ma sarà opportuno
aggiungere una postilla: affinché questo sia possibile, è essenziale
comprendere e apprezzare la storicità specifica delle categorie
marxiane, non tanto per liberarle dalle incrostazioni di un’epoca ormai
trascorsa quanto per riattivare quell’urto contro i limiti del suo tempo
(e del suo stesso pensiero) che le costituisce.
C’è qui per me un
principio di metodo: l’«attualità di Marx» non coincide necessariamente
con l’attualità del suo sistema; risiede nei vuoti oltre che nei pieni
del suo pensiero, nei suoi scacchi così come nei suoi trionfi
«scientifici» – nei problemi che ci aiuta a pensare e non soltanto nelle
soluzioni che ci propone. La nostra interpretazione di Marx, in altri
termini, deve essere da un lato filologicamente rigorosa, dall’altro
«trasformativa», come ha scritto di recente Étienne Balibar.
Ora,
che vi sia qualcosa di invariante nel capitalismo è evidente. Ma questa
formulazione riduce la critica dell’economia politica al terreno della
logica e azzera il rilievo di intere sezioni del Capitale – quella sulla
«cosiddetta accumulazione originaria», ad esempio, ma anche e
soprattutto l’analisi della transizione dalla manifattura alla «grande
industria», che costituisce metodologicamente un modello per la messa a
fuoco dei caratteri specifici assunti dal capitalismo in un’epoca
storica (la metà dell’Ottocento) e in un luogo (l’Inghilterra)
determinati.
PIÙ IN GENERALE, oscura un fatto per me cruciale, che
Marx ha definito (fin dalle pagine dedicate alla borghesia nel
Manifesto con una chiarezza senza pari: ovvero il carattere
rivoluzionario dell’oggetto della sua critica rivoluzionaria, il
capitalismo. Nei Grundrisse il «mercato mondiale» appare come sintesi e
condizione di possibilità (come «presupposto e risultato») della
«rivoluzione permanente» attuata dal capitale, della sua strutturale
determinazione espansiva: «la tendenza a creare il mercato mondiale»,
scrive qui Marx, «è data immediatamente nel concetto di capitale. Ogni
limite si presenta qui come ostacolo da superare».
ECCO DUNQUE un
primo elemento «invariante» da inserire in una definizione di
capitalismo coerente con la critica marxiana (non senza avvertire che il
concetto di capitalismo non rientra nel lessico di Marx, che parlava
piuttosto di «modo di produzione capitalistico» o di «formazione
sociale» capitalistica). Il capitale come rivoluzione permanente
costruisce la sua storia come «storia mondiale» e produce i propri spazi
nell’orizzonte del «mercato mondiale». Una volta posto quest’ultimo
come «invariante» risalta immediatamente, tuttavia, il carattere
astratto di questa invarianza. Il «mercato mondiale» cambia radicalmente
nella storia, a partire dal momento della sua apertura attraverso la
conquista, il colonialismo e il genocidio descritti nel capitolo 24 del
primo libro del Capitale.
Nel mio lavoro con Brett Neilson ho
cercato di cogliere la «differenza specifica» del capitalismo
contemporaneo sottolineando come oggi siano preminenti (nella stessa
composizione del «capitale complessivo», nell’orientamento di quelle che
Marx chiamava le «rivoluzioni di valore»), operazioni di carattere
essenzialmente estrattivo. Abbiamo cercato di sostanziare questa tesi
(che in modi diversi è condivisa da altri autori, da Michael Hardt e
Toni Negri a Saskia Sassen per esempio) con un’analisi delle operazioni
del capitale nel settore estrattivo in senso stretto, nella logistica e
nella finanza.
PARLIAMO DI SPECIFICHE operazioni del capitale, per
indicare che il capitalismo oggi non si riduce alle sue determinazioni
estrattive, per quanto queste ultime esercitino una funzione di comando e
di sincronizzazione sull’insieme dei processi di valorizzazione e di
accumulazione. E in particolare cerchiamo di dimostrare che il
capitalismo contemporaneo non è caratterizzato (al contrario di una tesi
ampiamente diffusa ad esempio nei dibattiti latinoamericani sul
cosiddetto «neo-estrattivismo») da un assoluto primato dello
«spossessamento», impiegando il termine nel senso attribuitogli da David
Harvey. Quel che ci sembra piuttosto importante analizzare e
comprendere è la combinazione di «spossessamento» e «sfruttamento» in
quella che oggi occorre tornare a definire, con tutte le sue differenze,
la condizione e l’esperienza proletaria globale.
È QUASI INUTILE
sottolineare come oggi il mondo della finanza, nel tempo dell’High
Frequency Trading per fare un solo esempio, sia completamente diverso da
quello in cui si muoveva il «capitale produttivo di interesse»
analizzato da Marx nel terzo libro del Capitale. C’è tuttavia in questa
analisi un punto che mi pare molto interessante, anche indipendentemente
del significato che deve essere attribuito alla categoria di «capitale
fittizio» da lui impiegata in questo contesto: per Marx, la finanza è
sostanzialmente una gigantesca «accumulazione di diritti, titoli
giuridici, sulla produzione futura». Questa determinazione in ultima
istanza politica della finanza, il suo essere caratterizzata da una
pretesa sulla produzione futura, rimane decisamente attuale. E mostra,
in particolare laddove si analizzino le forme dell’indebitamento di
massa – tanto pubblico quanto privato – che coinvolgono popolazioni
povere e lavoratrici, come il contenuto del debito contratto nel
rapporto con il capitale finanziario sia l’obbligo a partecipare alla
«produzione futura», la coazione a un lavoro quale che sia.
Il
capitale finanziario estrae, preleva valore attraverso la diffusione
molecolare nel tessuto della cooperazione sociale di questa coazione –
che corrisponde indubbiamente a specifici processi di «spossessamento».
Ma nel momento in cui la coazione si traduce in pratica (in altre
parole: nel momento in cui, per ripagare il debito, la singola
proletaria mette all’opera la propria forza lavoro, si entra
necessariamente in rapporto con diverse figure del capitale le cui
operazioni sono caratterizzate da specifici processi di «sfruttamento».
ECCO
DUNQUE la combinazione di spossessamento e sfruttamento di cui ho
parlato prima. E occorrerà aggiungere, restando a questo esempio molto
semplificato, che la nostra proletaria ha di fronte a sé uno spettro
molto ampio e profondamente eterogeneo di prestazioni lavorative (di
modalità attraverso cui mettere in opera la propria forza lavoro) tra
cui scegliere: potrà andare a lavorare in una fabbrica o in uno
sweatshop, in un supermercato o in una casa, potrà fare la
massaggiatrice o vedere droga per strada. È un punto fondamentale, che
andrebbe argomentato con ben altra ampiezza, inseguendo le metamorfosi e
le infinite combinazioni di spossessamento e sfruttamento che si
presentano: mi limito qui a dire che ai processi di finanziarizzazione, e
più in generale al primato delle operazioni estrattive del capitale,
corrisponde quella che io e Brett Neilson abbiamo chiamato
moltiplicazione del lavoro.
IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO
Da
oggi fino a domenica a Roma (presso la sede del Macro in via Nizza 136)
il convegno «200 Marx. Il futuro di Karl», inserito nelle iniziative per
il bicentenario della nascita. Il programma (consultabile sul sito
www.marx200.it) si aprirà oggi alle 14 con la sessione « Rivoluzione
della politica», con interventi di Aldo Tortorella, Paolo Ciofi, Maria
Luisa Boccia, Alfonso Maurizio Iacono, Giacomo Marramao, Marina
Montanelli, Marcello Musto, Mario Tronti. Venerdì sarà la volta di un
panel dedicato a «Storia e storie», con Adolfo Pepe, Francesco Giasi,
Enrico Donaggio, Chiara Giorgi, Vittorio Morfino, Peter Kammerer,
Stefano Petrucciani. Infine «Per la critica del capitalismo globale»,
con Michael Braun, Riccardo Emilio Chesta, Sandro Mezzadra, Laura
Pennacchi, Benedetto Vecchi, Carlo Vercellone, Ursula Huws. Sabato 15,
si chiude con «Vite, parole, corpi», insieme a Vincenzo Vita, Franco
Ippolito, Roberto Ciccarelli, Donatella Dicesare, Roberto Finelli,
Cristina Morini.