giovedì 13 dicembre 2018

il manifesto 13.12.18
Avanguardia nazionale oggi rinasce, le nuove leve del neofascismo
Nell'anniversario di Piazza Fontana. Il ruolo centrale di Ao negli attentati del dicembre 1969. L'organizzazzione oggi si è ricostituita da tre anni, nella più assoluta indifferenza istituzionale
di Saverio Ferrari


MILANO Avanguardia nazionale fu sciolta per decreto, sulla base della Legge Scelba, per ricostituzione del partito fascista l’8 giugno 1976, tre soli giorni dopo la sentenza della settima sezione penale del Tribunale di Roma che aveva condannato 31 “avanguardisti” a 26 anni complessivi di reclusione. Due furono gli anni comminati al fondatore Stefano Delle Chiaie. Non si attese la conclusione dell’iter giudiziario che comunque sia in appello, nel 1981, che in Cassazione, nel novembre 1982, confermò le condanne.
Il ruolo di Avanguardia nazionale negli attentati del 12 dicembre 1969, segnatamente nella strage di piazza Fontana, è stato spesso sottovalutato. In primo piano, infatti, dal punto di vista giudiziario, finirono gli uomini di Ordine nuovo, a partire dalla cellula padovana di Franco Freda e Giovanni Ventura. Eppure alcuni fatti dimostrerebbero la centralità di questa organizzazione.
LA RIUNIONE DI PADOVA
Come noto gli inquirenti che si occuparono della “pista nera” indicarono come momento di svolta nell’escalation degli attentati del 1969, la riunione di Padova del 18 aprile. Quella in cui si decise di colpire in «luoghi chiusi» con ordigni potenziati posti in «contenitori metallici» che li avrebbero resi particolarmente micidiali. Dalle intercettazioni disposte dall’allora Procuratore della Repubblica Aldo Fais, si scoprì che a questa riunione di Ordine nuovo, era atteso «il camerata Pino». L’identità dell’ospite verrà svelata tre anni dopo da uno dei partecipanti, Marco Pozzan. Si trattava di Pino Rauti, il capo riconosciuto di Ordine nuovo. Ma insieme a Rauti arrivò un secondo personaggio, che Freda, rispondendo alle insistenze di Pozzan, confidò « È un uomo del Sid». Che a questa riunione avesse partecipato «un collaboratore del Sid», lo confermò anni dopo il generale Gianadelio Maletti. Si trattava di Guido Giannettini, reclutato fin dal 1966 dal Servizio informazione della difesa. A quell’incontro, dissero alcuni, vi intervenne anche come emissario di Stefano Delle Chiaie. D’altro canto nei documenti della Questura di Roma Giannettini era in quegli anni segnalato come «elemento di rilievo di Avanguardia nazionale».
«DELLE CHIAIE ERA PRESENTE!»
Sarà però Giovanni Ventura, il 17 marzo 1973, in un lunghissimo interrogatorio di undici ore, nel carcere di Monza, che confessò che alla riunione di Padova era invece presente in prima persona Delle Chiaie. Lo ribadì il 2 novembre in un confronto con lo stesso Freda: «Il Delle Chiaie a quella riunione» – disse – «era venuto». Era da anni amico di Freda e si era più volte incontrato con lui. Vuotando il sacco a metà, Ventura, parlò anche dei finanziamenti che venivano «con prevalenza assoluta» proprio «da Stefano Delle Chiaie».
Il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio non gli credette giungendo alla conclusione che Delle Chiaie non poteva essere stato a Padova, avendo subito la mattina successiva una perquisizione domiciliare a Roma. Ma non andò a fondo. Un errore, visto che il commissario di polizia che eseguì quella perquisizione la effettuò alle 11 della mattina. Orari ferroviari alla mano, Delle Chiaie avrebbe potuto benissimo partire da Padova dopo mezzanotte ed essere nella sua abitazione prima delle 10. Lo sostenne, inascoltato, l’avvocato Odoardo Ascari al processo che si tenne nel 1978 a Catanzaro.
LE BOMBE DI ROMA
Ordine nuovo e Avanguardia nazionale a Padova decisero anche di spartirsi il territorio per le azioni terroristiche da compiere: l’organizzazione di Rauti al Nord e quella di Delle Chiaie al Centro-Sud. An, tra il settembre e il dicembre 1968 aveva già compiuto a Roma ben undici attentati, quattro con bombe. Ora si doveva alzare il tiro. Puntare alla strage.
Nel giorno in cui a Milano, alle 16.37, scoppiò la bomba in piazza Fontana, a Roma ne scoppiarono altre tre: una in un corridoio sotterraneo della Banca nazionale del lavoro (tra via Veneto e via di San Basilio) e due all’Altare della Patria. Alcuni testimoniarono di aver visto uomini di Avanguardia nazionale aggirarsi da quelle parti. Diversi furono anche gli esponenti neofascisti che nel corso degli anni addebitarono ad An quegli attentati. Qualcuno (Alfredo Sestili) fece anche il nome di Mario Merlino.
ANCORA GLI STESSI
Avanguardia nazionale si è ormai ricostituita da quasi tre anni nella più assoluta indifferenza istituzionale. Un’organizzazione a tutti gli effetti fuori legge. Il simbolo è rimasto lo stesso, l’Odal, una lettera dell’alfabeto runico a forma di rombo con i lati inferiori incrociati, espressione della continuità della stirpe, a suo tempo utilizzata anche da una divisione delle Waffen-SS. Anche i dirigenti sono rimasti gli stessi, a partire da Delle Chiaie, il capo incontrastato. Tra gli altri figura ancora lo stesso Mario Merlino, l’“agente provocatore” che si infiltrò tra gli anarchici. L’idea è quella di aprire sedi e mettersi a disposizione delle nuove leve del neofascismo. Già accade a Brescia dove si intimidisce chi denuncia la loro attività e dove, tra un saluto romano e l’altro, alle riunioni si sono fatti fotografare la candidata sindaca di Azione sociale/Forza nuova alle ultime elezioni amministrative e i leader dei comitati più attivi nel minacciare i profughi e chi li accoglie.