il manifesto 12.12.18
«Salvini razzista e nemico dei musulmani: a Netanyahu piace così»
Intervista.
Parla Yitzhak Laor, poeta, saggista e giornalista israeliano da sempre
senza bavaglio: «Salvini comincia qui, con la legittimazione di Israele
la campagna che dovrà portarlo a diventare il primo ministro italiano»
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Yitzhak Laor non ha dubbi. «Salvini comincia in Israele la campagna che
dovrà portarlo a diventare primo ministro italiano», ci dice convinto.
Poeta, saggista, collaboratore del quotidiano Haaretz, Laor, 70 anni, è
una storica voce senza bavaglio. È tornato da poco dall’Italia. «Conosco
bene l’Italia e quest’ultimo viaggio non l’ho fatto solo per turismo, è
stato anche un’indagine politica e sociale. Ho provato a capire il
contesto in cui è maturata l’avanzata dei populisti». L’abbiamo
incontrato a Tel Aviv nelle stesse ore in cui il vicepremier e ministro
dell’interno Matteo Salvini cominciava la visita ufficiale in Israele.
Perché Salvini parte proprio da Israele per arrivare alla poltrona di presidente del consiglio.
Il
comportamento degli uomini politici europei non è più così distante da
quello dei loro colleghi statunitensi. Negli Usa coloro che aspirano
alla presidenza o al Congresso sanno che il loro rapporto con Israele,
quello che pensano di Israele e come intendono coltivare le relazioni
strategiche con Israele sono fattori determinanti per il successo delle
loro aspirazioni politiche. Non è un caso che gli americani candidati a
presidente vengano sempre qui prima del voto. Ormai anche da voi in
Italia o in Europa un rappresentante politico, di destra e di sinistra
deve obbligatoriamente dichiararsi amico sincero di Israele e
dimenticare i diritti dei palestinesi se vuole coltivare delle
ambizioni, soprattutto in politica estera. Altrimenti rischia di
ritrovarsi isolato, messo nell’angolo.
Salvini però si proclama da sempre amico di Israele.
Nel
caso della destra italiana esiste un motivo in più per essere
filoisraeliano di ferro e negare persino l’esistenza di un problema
palestinese. È il passato fascista del paese, la collaborazione tra
fascismo e nazismo che grava ancora sulle forze di destra. Un passato
pesante che gli uomini della destra italiana adesso riescono a
cancellare dichiarandosi alleati di Israele e nemici dell’Islam.
Visitando lo Yad Vashem (il Memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme)
sanno che torneranno a casa con una nuova pelle. Israele e, purtroppo le
stesse comunità ebraiche europee, certificano l’idoneità di certi
personaggi a rivestire incarichi istituzionali nonostante le idee e i
programmi che questi portano avanti sono impregnati di razzismo. Ciò che
oggi interessa (a Israele) non è più se un leader politico sia un
antisemita dichiarato o occulto. L’importante è che sia schierato sempre
dalla parte di Israele. Alcuni anni fa fu Gianfranco Fini, un ex
fascista, a ricevere la benedizione di Israele.
In Israele non
mancano le polemiche per il caloroso benvenuto riservato dal premier
Netanyahu prima al leader ungherese Orban e ora a Salvini.
Sono
voci isolate e non scalfiscono la legittimazione che si sta dando alla
destra populista europea. Nel caso di Salvini inoltre dobbiano notare un
aspetto importante. Ho letto su Haaretz che (il leader della Lega)
parlando ai rappresentanti della stampa estera in Italia ha detto che
non deve giustificare il suo pensiero e le sue azioni ogni volta che
parte per Israele. In sostanza Salvini dice io sono quello che sono e a
Israele va benissimo. E ha pienamente ragione. A Netanyahu piace così:
razzista, tendente al neofascismo e nemico dei musulmani.
Israele è sempre più un modello da imitare per i leader politici europei. E non solo nella sicurezza.
Potrei
elencare tante ragioni per spiegarlo. Il pugno duro che (Israele) usa
contro i musulmani e gli arabi, perché attua politiche antidemocratiche
che tanti in Europa vorrebbero seguire, perché caccia via senza problemi
migranti e rifugiati e così via. Io dico che Israele piace sempre di
più al Vecchio Continente perché incarna quella vocazione coloniale che
scorre copiosa nelle vene degli europei. Vocazione che la sinistra
europea ha combattuto nei decenni passati e che riemerge a mio avviso
evidente sull’onda del populismo dilagante.