il manifesto 12.12.18
La parabola «tragica» di Aldo Togliatti
«Il figlio del migliore, un libro di Giovanni De Plato
di Sarantis Thanopulos
Aldo,
il figlio di Togliatti, è riemerso dal nulla in cui accadimenti più
grandi di lui l’avevano destinato. Non per occupare, a posteriori, un
posto negli eventi storici del secolo scorso, ma per affermare che, a
suo modo, sia esistito e la sua testimonianza ci possa interrogare. È
come se il «milite ignoto», colui che è «nessuno», piuttosto che
sconosciuto, uscisse dal suo stato marmoreo per parlare di sé e non
della guerra e dell’atto «eroico» che l’hanno inghiottito.
Il
figlio del migliore (Pendragon, pp. 154, euro 15), di Giovanni De Plato,
è un libro attento, misurato, ma intenso, venato di una melanconia che
coinvolge, impegna, resta aperta al lutto. De Plato psichiatra di grande
esperienza, ha frequentato Aldo Togliatti nell’istituto psichiatrico
dove, da «schizofrenico», ha passato gli ultimi trent’anni della sua
vita. Racconta con scrittura precisa e temperata una storia in stile
romanzato, ma aderente ai fatti reali, raccolta dalla viva voce del suo
protagonista e dalla sua corrispondenza con i genitori.
LA
TRIANGOLAZIONE tra Aldo e i suoi genitori è «tragica». La concatenazione
degli errori compiuti, (i più terribili sono stati quelli in «buona
fede»), la cui responsabilità cade necessariamente sui genitori, ha
creato una situazione irreparabile, in cui non è stata la mancanza di
amore a dominare il campo, ma la sua sottomissione a leggi a esso
estranee. Dei tre l’«incolpevole» è Aldo, il più «colpevole» è Palmiro
Togliatti. Tuttavia questa visuale, seppure corretta – perché il proprio
figlio il segretario del Pci lo ha alla fine disconosciuto e
abbandonato, di fatto -, fa anche ingannare. Tra i tre che pure, tra
mille difficoltà, si vogliono bene, si amano e si odiano anche,
l’autoreferenzialità, il chiudersi di ognuno nelle proprie ragioni, è
sempre in agguato, anche quando la madre, Rita Montagnana, si aggrappa a
un amore abnegante per il figlio che non è assistenza, ma un vero
prendersi cura di lui.
NELLO SPAZIO «tragico» chi ci è rimasto
incastrato (privo del privilegio isterico di cui gode lo spettatore:
stare dentro e, al tempo stesso, fuori dalla scena infausta) e non ha
sufficienti appigli nello spazio esterno – in modo da «rifarsi una vita»
(come fece Togliatti, spostando altrove il suo senso di
responsabilità), o per prendere cura di chi ha subito le conseguenze più
gravi, senza cadere nel suo baratro (come fece Montagnana) – ha nella
follia la sua unica vera scelta per restare vivo. È grazie alla follia
che Aldo è uscito dal buio senza fine di una totale autoreferenzialità,
dal labirinto di pensieri senza sbocco possibile, per assumere la più
dolorosa delle responsabilità nei confronti di sé e degli altri. La
follia non è «sragionare», ma un ragionare lacerato, discontinuo che
mentre si inabissa nella voragine del vuoto, si rialza per ritrovare uno
sguardo insieme lucido e irregolare, si accosta a prospettive insolite,
come la bella descrizione dei vari tipi di silenzio che Aldo fa al suo
dottore.
SARÀ LA MADRE a riconoscere che per lei e il padre gli
affetti (di cui pure erano capaci) e la funzione genitoriale dovessero
essere sacrificati alla costruzione di una società superiore, di uomini
giusti e uguali. L’idea romantica e insieme spartana a cui Togliatti e
Montagnana hanno dedicato una vita di rinunce, fu fondata sulla
convinzione che i sentimenti familiari e quelli erotici fossero
subalterni ai legami sociali solidali, che, dovendo scegliere, toccasse
ai secondi la più assoluta delle priorità.
Sono infelici le
società che rendono necessarie scelte tra affetti personali e doveri
sociali. La differenza tra oikos e Polis non è sul piano dei sentimenti.
I «legami di sangue», che si oppongono alla convivenza democratica,
sono fondati su un aggregarsi difensivo, dettato da una logica di
bisogni, su un interesse particolare che è cieco perché non ha sbocco
all’universale. La possibilità di amare/odiare una persona, che così
diventa per noi importante, è legata alla potenzialità di amare/odiare
ognuna delle persone che abitano il nostro mondo ed è questa
potenzialità, che fa incontrare il particolare con l’universale, che una
società «giusta» dovrebbe facilitare e incoraggiare. Diversamente
l’amore diventa un bisogno o un ideale astratto che rischia di
legittimare ogni misfatto. Agli occhi di Aldo, il padre, figura
esemplare, anticipatrice dell’uomo «Migliore», che una società senza
precedenti avrebbe creato, figura proiettata dallo sguardo della madre
su di sé, poteva avere come erede solo un signor «Nessuno». Chissà se
nel suo perenne anelito del mare, la storia di Ulisse risuonasse dentro
di sé.