venerdì 7 dicembre 2018

Il Fatto 7.12.18
Miracolo di Roma: è ancora in sala (e già su Netflix)
di Federico Pontiggia


Un po’ di chiarezza. Il Leone d’Oro di Alfonso Cuarón, Roma, è targato Netflix, che lo diffonderà sulla propria piattaforma dal 14 dicembre, ma dal 3 al 5 dicembre è approdato nelle nostre sale distribuito dalla Cineteca di Bologna. Ebbene, quel triduo s’è allargato, Roma è ancora programmato e, lasciano trapelare dal servizio streaming, a discrezione dei singoli esercenti potrà esserlo anche dopo il 14, aprendo dunque a una diffusione theatrical-VOD contemporanea, come tra mille polemiche fu per Sulla mia pelle, il film sul caso Cucchi di Alessio Cremonini. Vedremo in che misura, ossia quante sale lo manterranno in tenitura, ma qualcosa pare essere cambiato dal 12 settembre di Cucchi, e a favore di Netflix.
Purtroppo, ché è risoluzione anti-trasparenza, la società di Reed Hastings non comunica dati su utenti, visioni, e nemmeno dà contezza degli spettatori in sala e relativi incassi: per Roma abbiamo visto sui social le code davanti ai cinema, e sappiamo che la proiezione a Pietrasanta alla presenza di Cuarón, che lì vive, mercoledì sera ha registrato il sold out (500 posti).
Ma che film è quello che Netflix cavalca come proprio cavallo di Troia agli Oscar? Emblematica è la decisione dell’American Film Institute (Afi), che annualmente distingue il meglio della produzione cinetelevisiva stelle & strisce, di tributargli uno Special Award, volendo ricompensarlo sebbene sia un film messicano, ovvero in lingua straniera. Categoria in cui, al contrario di Dogman di Matteo Garrone, lo troviamo nominato ai 76esimi Golden Globes, i riconoscimenti della stampa estera accreditata a Hollywood: Roma incassa tre candidature, anche per regia e sceneggiatura.
Regista, sceneggiatore, appunto, nonché produttore, direttore della fotografia e montatore, Cuarón vi riversa in bianco e nero 65mm i ricordi formato famiglia a Città del Messico, nel quartiere residenziale Roma, tra il 1970 e il ’71, addossandoli all’abbandono di due donne, la biochimica Sofia (Marina de Tavira) e la domestica Cleo (Yalitza Aparicio), da parte dei compagni, il medico fedifrago Antonio e il giovane Firmin, che mette incinta la ragazza e si dà. È girato da Dio, la sequenza del massacro dell’Halconazo probabilmente non ha eguali nel 2018, ma Cuarón vi distilla un senso di colpa borghese e denuncia una carenza d’empatia che gli inibiscono forse lo status di capolavoro. Del resto, i premi, sopra tutto Oltreoceano, non certificano i capolavori, anzi. E di premi il 56enne Alfonso ne sa a pacchi, lui e i sodali connazionali Alejandro González Iñárritu e Guillermo Del Toro (era presidente di giuria a Venezia, per Netflix ora farà l’agognato Pinocchio) si sono spartiti quattro degli ultimi cinque Oscar per la regia: Cuarón nel 2014, per Gravity; Iñárritu nel 2015 e nel 2016, per Birdman e The Revenant; del Toro quest’anno per La forma dell’acqua. Sì, dice bene il proverbio: Roma non fu fatta in un giorno.