Corriere 7.12.18
Classicità «Gli amori degli altri» (La nave di Teseo): una mappa dei sentimenti che segue il filo del mito e della storia
Nel cuore degli antichi
Eros, amicizia, nozze: Eva Cantarella racconta gli affetti dei greci e dei romani
di Giulia Ziino
Di
cosa parliamo quando parliamo d’amore? Di sicuro di qualcosa che cambia
attraversando i secoli e le geografie. Altrimenti come potremmo portare
come esempio di matrimonio riuscito quello di Marzia e Catone? Sposati,
due figli all’attivo e lei incinta del terzo, Catone pensa bene di
cederla all’amico Ortensio che, per rinsaldare il legame amicale, gli
chiedeva di avere dei «figli in comune». Marzia, ceduta suo malgrado,
partorisce in casa del nuovo consorte il figlio di Catone e, più tardi,
ne concepisce anche uno con Ortensio. Quando quest’ultimo, sessantenne
all’epoca delle nozze, muore, Marzia torna da Catone. Secondo Lucano,
che lo racconta nella Farsalia, la donna (con ancora tra i capelli la
cenere della pira di Ortensio) bussa al portone del primo marito e lo
implora: «Ho fatto quello che mi hai ordinato di fare. Ora torno da te,
sfinita dai parti, in uno stato nel quale non posso essere ceduta a un
altro uomo. Concedimi di riannodare i casti legami del primo letto,
dammi soltanto il nome di moglie, così che sulla mia tomba possa essere
scritto: Marzia, moglie di Catone». E Catone, prontamente, apre la
porta.
Niente di strano, a Roma, dove cedere una moglie ancora in
grado di procreare era cosa considerata normale. Anzi buona e giusta,
poiché liberava il primo marito dal rischio di mettere al mondo troppe
bocche da sfamare e dava invece al secondo la possibilità di avere
figli. Tutto senza che la capacità di generare della donna andasse
sprecata in epoche — come quella di Augusto — in cui la denatalità stava
diventando un’emergenza sociale. E c’era anche chi, tra le matrone,
sapeva fare buon viso a cattivo gioco e sfruttare la situazione. Come
Livia, anche lei sposata e in attesa del secondogenito, ceduta (non si
sa quanto spontaneamente) dal marito ad Augusto, che se ne era
innamorato a prima vista (e per lei non aveva esitato a ripudiare la
moglie Scribonia il giorno stesso in cui costei aveva partorito la loro
unica figlia, Giulia). Livia sposa il princeps e sfrutta a suo vantaggio
la situazione riuscendo a fargli succedere Tiberio, il figlio avuto dal
primo marito. Operazione portata a termine al netto di due morti
sospette (quelle dei figli di Giulia, nipoti diretti di Augusto,
avvelenati, scrive Tacito, «a seguito delle trame della matrigna Livia»)
e di un altro matrimonio (quello fra Giulia e lo stesso Tiberio).
Cessioni,
divorzi, ritorni. Li racconta Eva Cantarella in Gli amori degli altri
(La nave di Teseo). Dove gli altri sono i greci e i romani, antenati da
cui molto deriviamo ma dai quali, però, ci separa una concezione dei
sentimenti e dell’amore in cui è difficile per noi identificarci. Troppo
distante e diversa. Cantarella prova a orientarci in questa mappa del
cuore servendosi dei miti e della letteratura (ma anche di testimonianze
scritte di altro tipo: corpi di leggi, iscrizioni, graffiti) in cui
l’amore è protagonista. Al modo dei greci, per i quali, per esempio, le
relazioni adulterine dell’uomo erano tollerate col sorriso dalle brave
mogli al punto che Andromaca — altra metà di una delle coppie più solide
della tradizione letteraria — si vanta per bocca di Euripide di aver
allattato i figli illegittimi del marito, per non amareggiarlo e anzi
«conquistare il suo amore»: proprio quell’Ettore con cui, sulle porte
Scee alla vigilia della battaglia, aveva dato vita a uno dei quadretti
di vita familiare più famosi (e commoventi) dell’antichità.
Inutile
cercare di immedesimarsi: mentalità troppo lontane dalla nostra. Meglio
cercare di contestualizzare e poi lasciarsi travolgere dal fascino
delle testimonianze, delle storie: dèi che rapiscono ragazze (e ragazzi)
come se nulla fosse (le mille conquiste di Zeus: Callisto, Europa,
Metis, Semele, Io, Ganimede, Leda...), fiumi e venti che insidiano ninfe
bellissime, mariti che, come Ulisse, smaniano per tornare dalle mogli
ma non disdegnano di ritardare il rientro trascorrendo anni nel letto di
maghe. Ma anche la forza ancora viva di sentimenti più simili ai
nostri, meno difficili da condividere: la gelosia che fa impazzire
Catullo mentre pensa a Lesbia, i sospiri di Sulpicia — preziosa e rara
voce di poetessa donna —, i vivacissimi graffiti di Pompei («Costringimi
a morire, poiché mi costringi a vivere senza di te», ma anche il meno
romantico, seppure tardivamente ritroso: «Io qui, con le natiche al
vento, ho fatto l’amore con la mia donna: ma scrivere queste cose è
stato turpe»). E la philia — misto di eros, amicizia e rapporto tra
discepolo e maestro — che univa Achille e Patroclo e gli uomini di
Grecia e Roma ad altri uomini: nel 559 d. C. Giustiniano per la prima
volta la bollerà come «contro natura». Cambia l’etica, e si chiude
un’era.