Il Fatto 5.12.18
Primarie per salvare i socialisti europei
di Gian Giacomo Migone
È
probabile che, quando si riuniranno a congresso a Lisbona, il 6 e il 7
dicembre, i socialisti e democratici europei compiranno una monumentale
sciocchezza, fingendo d’ignorare che le prossime elezioni del Parlamento
europeo offrono loro un’occasione per rilanciare l’unità europea e
costituire un antidoto alle tendenze antidemocratiche incombenti in
tutto il nostro continente. Persino per vincere elezioni altrimenti
perse in partenza.
La destra europea è divisa tra popolari e
movimenti e partiti di estrema destra, a loro volta in conflitto. Anche
se, con il tramonto di Angela Merkel, buona parte della Cdu e
soprattutto la Csu è disposta a sposare la formula austriaca che prevede
di allearsi con la destra estrema, non è pensabile che, nei sei mesi
che ci separano dalle elezioni, Kaczinsky e Salvini, i paranazisti
tedeschi e scandinavi, guidati dal carismatico Aakesson, possano
confluire in un rassemblement de droite che, pur con liste divise,
indichi un candidato unitario, uno Spitzenkandidat, alla presidenza
della Commissione.
Il Partito del Socialismo Europeo, pur in
declino, ha un potenziale di coalizione superiore. Si osservino le
coalizioni che governano Portogallo e Spagna (Podemos compresa), la
capacità dimostrata da Tsipras nel subire le imposizioni della Troika
continuando a governare democraticamente la Grecia (anche se ora
bisognosa di voltare pagina). Soprattutto, si prenda atto dell’ascesa
simultanea dei verdi in tutta l’Europa centro-settentrionale, con la
conseguente attrattiva esercitata nei confronti dei frammenti della
sinistra radicale. Fa eccezione soltanto quella sovranista di Mélénchon
che, divisa al proprio interno, stenta a cavalcare l’insurrezione
popolare che colpisce il governo di Macron. Esistono, insomma, le
condizioni per una convergenza di forze di sinistra che, pur
presentandosi separate e divise, potrebbero trovare in una candidatura
unica alla presidenza di Commissione lo strumento per battersi ad armi
pari contro una destra divisa.
Il candidato, o preferibilmente la
candidata, socialista dovrebbe però segnare una rottura con la
condizione attuale dell’Ue che ha determinato la crisi di coscienze
europeiste storicamente collaudate. Il combinato disposto di politiche
ottuse di austerità e di paralisi decisionale intergovernativa non
poteva che produrre questi risultati. Ne consegue che candidature come
quella di Frans Timmermans, versione più sobria, ma anche più mediocre
di Jean Claude Juncker, sono all’opposto di Another Europe (Per un’Altra
Europa) che fornirebbe l’elemento ideale e programmatico unificante di
una coalizione vincente e anche la piattaforma di rilancio dell’Europa
che non siamo, ma che ancora in molti vorremmo essere.
Another
Europe: non ho usato a caso la parola d’ordine di Momentum,
l’organizzazione di oltre 200.000 giovani britannici che, iscrivendosi
al Partito laburista, hanno concorso in misura determinante all’ascesa
di Jeremy Corbyn e che costituiscono la punta di diamante di un nuovo
europeismo, con l’obiettivo di rovesciare la Brexit. Basta scopiazzare
il loro programma, a cui il vicecancelliere tedesco, Olaf Scholz, in un
discorso appena pronunciato all’Università Humboldt di Berlino, ha
aggiunto una proposta provocatoria: seggio europeo nel Consiglio di
Sicurezza dell’Onu al posto di quello francese (e, aggiungo io,
britannico, se si rovesciasse la Brexit). Un’Europa politica, sempre più
aperta, integrata ed egualitaria, non più succube di quella minoranza
finanziaria globalizzata che erode costituzioni e istituzioni
democratiche, sopprimendo diritti e indebolendo un welfare di cui,
invece, saremmo naturali custodi. Un’Europa che ha posto fine a secoli
di guerre intestine e che richiede una difesa integrata, ispirata al
principio di “sicurezza umana” a suo tempo formulato da Javier Solana e
sposata da Federica Mogherini, che sottrarrebbe l’Europa a giochi di
guerra dei vari Trump, Putin e – in prospettiva – Xi Jinping.
Il
primo passo di una lunga strada in questa direzione è proprio una
candidatura socialista, una Spitzenkandidat, capace di trasformare in
governo una Commissione che oggi surroga la politica con violazioni
sistematiche del principio di sussidiarietà. Basterebbe che i socialisti
e democratici europei che si riuniranno a Lisbona tentassero di
vincere, di aprirsi a potenziali alleanze, rinunciando a formule
collaudate ma prive ormai di consenso: alleanza coi popolari, metodo
intergovernativo, Commissione burocratica, quando non prevaricatrice.
Anziché incoronare Timmermans o un altro candidato votato a una sicura
sconfitta, dovrebbero scegliere il loro Spitzenkandidat attraverso
primarie aperte, fondate su un confronto programmatico e valoriale.
Cosa ne pensano i tre principali rivali allo scettro di segretario del Pd? Anche Zingaretti è per Timmermans?