Il Fatto 3.12.18
Il 55% degli elettori Pd vuole l’intesa coi 5 Stelle
Contraddetti i candidati alla segreteria, che restano tutti molto al di sotto del 51%. Rimonta Minniti: a -7 da Zingaretti
Il 55% degli elettori Pd vuole l’intesa coi 5 Stelle
di Marco Franchi
In
caso di elezioni anticipate il 55 per cento degli elettori del Pd
preferirebbero un accordo con il Movimento 5 stelle, il 9 per cento con
Forza Italia e il 3 con la Lega. A rilevarlo è ieri un sondaggio di
Antonio Noto per il Quotidiano nazionale. Il giorno prima il Foglio
aveva pubblicato, invece, i propositi via sms dei tre principali
candidati alla segreteria del Pd – Nicola Zingaretti, Marco Minniti e
Maurizio Martina –, tutti coincidenti nel “no al dialogo con i
grillini”.
Secondo lo stesso sondaggio, inoltre, il 62 per cento
dell’elettorato democratico spera in una ricomposizione della sinistra
con il ritorno a casa dei bersaniani di Leu. Un nuovo partito dell’ex
premier Matteo Renzi, invece, è stimato al 9 per cento, di cui 5 punti
percentuali “rubati” al Pd.
Rispetto alle cosiddette primarie Noto
su Qn conferma anche la rilevazione della Izi pubblicata dal Fatto
lunedì scorso: Zingaretti è in testa ma, solo col 39%, non abbastanza
(serve il 51%) per conquistare la segreteria del Pd ai gazebo senza
passare dall’assemblea nazionale del partito. Per Noto, però, l’ex
ministro Marco Minniti è più vicino, ad appena 7 punti percentuali (per
Izi sette giorni prima era a -14). Troppo poco per far dormire sonni
tranquilli al governatore del Lazio. L’ultimo segretario Maurizio
Martina, invece, vola alto, con un insperato 29 per cento (per Izi al
18).
Il voto ai gazebo aperto a tutti, quindi, per la prima volta
non sarebbe risolutivo per le “primarie” democratiche. Uno stallo
politico che potrebbe essere risolto come ai tempi della Prima
Repubblica, cioè con un bel “biscotto”? Magari attuato dagli ex ministri
dei governi Renzi e Gentiloni, Martina e Minniti, proprio ai danni del
favorito Nicola Zingaretti? Chi potrebbe rispondere a questa domanda
meglio di Massimiliano Cencelli, classe 1936, testimone di svariate
stagioni politiche e, soprattutto, inventore di quel “manuale” divenuto
sinonimo dell’arte della spartizione del potere e delle poltrone.
L’applicazione
del “Cencelli” ha garantito alle diverse anime correntizie della
Democrazia cristiana di convivere per molti anni. “Il biscotto
nell’assemblea del Partito democratico? Ma lasciamo stare – spiega
Cencelli all’Adnkronos – perché don Sturzo e De Gasperi si
rivolterebbero nella tomba. Sarebbe il trionfo dell’antidemocrazia e per
un potere che non c’è più. Se il Pd continua così, dopo la delusione
Renzi, alle prossime elezioni politiche Salvini si prende il 60 per
cento. E comunque sarebbe impensabile che il secondo e il terzo arrivati
alle primarie si mettano d’accordo per far fuori il primo: dovrebbero
lavorare proprio per evitare uno scenario del genere”. Nel frattempo si
definiscono meglio le squadre degli aspiranti segretari. Zingaretti ha
con sè il peso di Areadem, la corrente di Dario Franceschini, ha
l’endorsement di Paolo Gentiloni, sempre più ostile al renzismo, e
l’appoggio di ex ministri come Andrea Orlando e Roberta Pinotti, oltre a
quello di Luigi Zanda, ex capogruppo in Senato e uomo capace di tessere
tele che potrebbero risultare decisive oltre i gazebo. Minniti ha con
sè quella che è stata la prima linea renziana: Lorenzo Guerini, Ettore
Rosato e, soprattutto, Luca Lotti, oltre al 60 per cento dei gruppi
parlamentari e ben 548 sindaci. Martina, in ticket con Matteo Richetti,
schiera una formazione di renziani quasi pentiti: i Giovani turchi di
Matteo Orfini, Graziano Delrio, Debora Serracchiani e Tommaso Nannicini.
Ma da qui al 3 marzo, data del voto nei gazebo, molto potrebbe cambiare
e il manuale Cencelli è sempre consultabile.