Corriere 3.12.18
I braccianti «invisibili»
«Nei campi d’Italia centomila schiavi»
A 14 anni i figli non sanno leggere
I dossier di Caritas e Cgil: il 30% non ha accesso a un bagno. Anche al Nord si vive in strada
di Goffredo Buccini
Nove
su dieci non parlano italiano, il 36% vive senza bagno: sono solo
alcuni dei numeri dei braccianti «invisibili»: i centomila schiavi
isolati nei campi. Nei poderi dei padroncini. E anche al Nord adesso
arrivano i primi caporali.
Jerry Maslo fu il primo ed è rimasto un
simbolo. Molti svaniscono come fantasmi dalla nostra cattiva coscienza:
i dodici migranti schiantati su un pulmino dei caporali ad agosto, i
sindacalisti solitari e coraggiosi come Soumaila Sacko, l’albanese
ribelle Hyso Telaray, i cento polacchi spariti in sei anni nel Tavoliere
di Puglia, gli italiani resi stranieri in patria dalla miseria e
ammazzati dalla fatica come Paola Clemente.
Il rosso del sangue si
mischia al rosso dei pomodori, sostiene don Francesco Soddu. Troppo
spesso, in certe campagne, in certi ghetti: «Un unicum che sembra legare
indissolubilmente l’esistenza di queste persone, la loro vita e la loro
morte, alla terra e ai suoi frutti», aggiunge il direttore di Caritas
italiana che in queste crepe della nostra convivenza, nei campi dove ci
si spezza la schiena per due euro l’ora senza diritti né tutele, è
andata a scavare con i suoi volontari ottenendo risultati su cui vale la
pena riflettere.
Il 71 per cento dei braccianti immigrati non
iscritto all’anagrafe, il 70 per cento senza contratto, il 36 per cento
senza acqua potabile, il 30 senza servizi igienici, una stima di
diciotto o ventimila accampati negli slum del Sud, l’89 per cento
incapace di esprimersi nella nostra lingua: sono solo alcuni dei numeri
dolenti raccontati da «Vite sottocosto», il secondo Rapporto Presidio
dell’organismo pastorale della Cei. Numeri che, incrociati a quelli
dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Cgil (tra i 70 e i 100 mila
lavoratori stranieri occupati in forma «para-schiavistica» nel nostro
settore agroalimentare), formano il perimetro di una vasta questione
nella quale la vergogna del caporalato è soltanto un lato, il più facile
da approcciare: prendersela con quattro criminali non costa molto,
altro è attaccare i meccanismi della grande distribuzione e della
filiera produttiva illegale che, assieme alla cattiva accoglienza,
compongono il quadro.
Prigioni di plastica
Un quadro
significativo perché esteso da Nord a Sud. I volontari hanno contattato
4.954 lavoratori di 47 nazionalità grazie all’appoggio di tredici
diocesi e all’impegno di un gruppo di studiosi coordinato da Piera
Campanella: dai 385 immigrati intercettati a Saluzzo, in Piemonte, ai
1.083 di Ragusa in Sicilia, passando per i presidi di Foggia e Caserta,
Latina e Cerignola, Melfi e Oppido Mamertina. Un mondo ricurvo sulla
terra e su se stesso.
Le serre di Ragusa sono prigioni, «distese
prepotenti di plastica», dimensioni di lavoro-dormitorio che inglobano
il migrante isolandolo dal mondo. Vincenzo La Monica, uno dei volontari
del progetto siciliano, racconta il trucco dell’aeroplanino che vale più
d’un trattato di sociologia: siccome i braccianti sono irraggiungibili
dentro i poderi dei padroncini e hanno troppa paura per uscirne, «noi li
contattiamo piegando i nostri volantini come aeroplani di carta e
glieli lanciamo oltre la recinzione». Ulteriore accortezza contro i
capoccia: un testo in italiano, «vi diamo vestiti e coperte», e sotto
uno in arabo e in romeno, «vi diamo anche assistenza legale». Un
compagno di Vincenzo spiega che «qui c’è più che altro l’idea che i
lavoratori siano di tua proprietà e quindi hai il possesso delle donne e
degli uomini». Il sociologo Leonardo Palmisano racconta questo universo
concentrazionario dove spesso si dorme in capannoni accanto al veleno
dei bidoni di fertilizzanti: «Casolari, abitazioni diroccate, baracche,
rimesse per gli attrezzi (...) delineano una sorta di topografia dello
sfruttamento (...). Il datore di lavoro è in grado di assicurarsi oltre
alle prestazioni di lavoro agricolo, anche, indirettamente, funzioni di
guardiania dei locali aziendali da parte della stessa manodopera».
Ultimi contro penultimi, come sempre. La prima immigrazione tunisina,
sindacalizzata, combatte una feroce lotta contro i nuovi arrivati,
romeni, spesso rom, disposti a diventare in silenzio nuovi servi della
gleba, con le famiglie al seguito, i bambini senza scuola abbandonati in
baracca tutto il giorno, le ragazze costrette a corvée sessuali.
Vincenzo ha ancora negli occhi Laura, 14 anni, che non sa leggere perché
deve badare ai quattro fratellini, ma ha imparato a memoria, solo
ascoltandola, la sua parte in «Pinocchio e il paese dei farlocchi» che i
volontari portano in scena. Il riscatto può stare in un lampo di
fantasia.
I caporali al Nord
Ci sono i blitz, la legge del
2016 contro i caporali serve, eccome. Ma il contagio arriva fino
all’altro capo d’Italia, con il disastro di Saluzzo, «le condizioni
disumane» dei migranti prima accampati nel Foro Boario, poi nell’ex
caserma Filippi dentro un progetto di prima accoglienza stagionale (il
Pas). Non basta. Giovani maliani e gambiani saliti quassù per la
raccolta di pesche e mele continuano a vivere in strada, a svendere il
proprio lavoro ai primi caporali che iniziano a vedersi anche quassù.
Mancano «politiche nazionali e regionali» per regolare il reclutamento
della manodopera e l’incontro tra domanda e offerta in agricoltura. I
migranti irregolari sono i più vulnerabili. Oliviero Forti, responsabile
dell’ufficio immigrazione Caritas, è convinto che il decreto Salvini
appena convertito in legge peggiorerà le cose, «aumenterà l’illegalità».
Di sicuro chi è senza permesso di soggiorno è disposto a tutto, la
massa che esce in questi giorni dai Cas e dai Cara la ritroveremo
sfruttata nelle campagne la prossima estate. La vulnerabilità sale a
Nord come la linea della palma di Sciascia. Volendo scovare i famosi
«invisibili» che turbano sonni e sondaggi, al governo basterebbe
seguirla, o seguire le tappe dei volontari Caritas: ma la nostra
agricoltura finirebbe in ginocchio senza schiavi, più facile per tutti
lasciare inginocchiati tra le zolle gli schiavi del terzo millennio .