Il Fatto 23.12.18
Ecco perché il voto di vendetta durerà
di Furio Colombo
Mi è capitato di trovarmi in Paesi in cui stava per avvenire un colpo di Stato.
Grecia,
1967, Perù 1990. Vedi soldati di certi reparti speciali (divise e
dotazioni diverse) presidiare certi punti ritenuti cruciali, vedi masse
di soldati in silenzio e in ordine in strade laterali. Vedi i carri
armati, a volte in lunghe file, come per occupare un Paese straniero.
Questo ti colpisce se ti accade di vedere il Paese in cui sta per
compiersi un colpo di Stato: quel Paese è diventato nemico di se stesso.
O, se volete, quel Paese ha generato un comportamento così
intollerabile che bisogna rimuoverlo con le armi, come un invasore.
Da
quel momento (se il colpo ha successo) nasce l’ossessione per la
sicurezza. Per esempio in Italia i porti sono chiusi, e le famiglie si
dotano di spray urticante. Ogni persona, parola, comportamento e
oggetto, d’ora in poi sarà controllato e soggetto a limitazione o
eliminazione. Questa alterazione del comportamento politico, umano e
sociale non va via da sola. Tanto più quando uno dei suoi sintomi è di
mettere a tacere il Parlamento decidendo e annunciando altrove ogni
evento che conta. Deve accadere qualcosa di drammatico, con qualcuno che
si sacrifica (anche se poi si darà tutto il merito al popolo e alla sua
voglia di libertà) per rovesciare il governo del colpo. In Venezuela,
per esempio, non è ancora riuscito, e neppure in Ungheria, nonostante
mobilitazioni accanite e atti di ribellione che indicano disperazione.
Avete
notato che gli ultimi due Paesi citati (Venezuela e Ungheria) ci
raccontano una storia diversa dai carri armati, una storia che ci
riguarda. Tutti e due questi governi, e partiti e apparati e burocrazie e
giornalisti al seguito, occupano e dominano il loro Paese come se lo
avessero espugnato, in base al voto popolare.
Possono dunque
entrare in azione sbandieratori in grado di gridare a ogni oppositore,
per quanto legittimo che, se vuole parlare, deve prima farsi eleggere.
Lo dicono sapendo che, da un lato, la macchina elettorale è già nelle
mani di un tipo di consenso bloccato (ora tenterò di dire perché). E,
dall’altra, sono appena entrati in funzione i meccanismi, studiati con
cura (Cinque Stelle) o improvvisati con impetuosa bravura (Lega) che
puntano a obiettivi essenziali: spaccatura del Paese ed esclusione di
qualunque opposizione.
Perché ho detto che “il consenso è
bloccato”? La ragione è negli ingredienti che sono stati usati per
ottenere un consenso largo che tende ad allargarsi. Uno degli
ingredienti è la dichiarazione di infamia per tutti (tutti) coloro che a
qualsiasi titolo esistevano e agivano “prima” (da Previti a Gino
Strada, da Dell’Utri a Saviano).
Questo espediente, oltre a
salvare il peggio facendolo uguale al meglio, crea un vasto spazio
libero per i nuovi venuti. Infatti elimina le domande sulla
preparazione, grado di cultura e competenza. Essere nuovi è l’unico
criterio anche a costo del ridicolo provocato dalle inesperte
prestazioni.
Il secondo ingrediente è la libertà di disprezzo e
dunque di vendetta per tutto quello che “gli altri” hanno fatto prima.
Liste anche grandi di legittima protesta e denuncia politica si saldano
con immense liste private di ingiustizie patite a qualsiasi titolo e per
qualsiasi ragione, incluse le mancate assunzioni, i pagamenti ingiusti,
i fallimenti scolastici, le cure mediche mal riuscite, il tutto immerso
in un mare di disonestà globale, che è l’intero pianeta del “prima”.
Ecco
perché il voto di vendetta durerà a lungo. Il cuore del dramma però non
sta nel disputare quanto sia fondata la rabbia. Il dramma dipende
dall’uso apocalittico e totale che è diventato il gioco di governo, tra
piazze e balconi, con il ministro dell’Interno che si esibisce con le
stellette militari sulla maglietta o con la giacca della polizia, due
trovate che inducono a credere che la politica sia la polizia e che la
polizia sia la politica.
Come sappiamo questo governo, senza carri
armati, ma ricco di trovate estranee alla Costituzione e alla legge, è
formato da due partiti disuguali e diversi. E se uno ama comparire in
divisa, l’altro preferisce annunciare le sue vittorie (che non sono
dell’Italia ma del partito) dal balcone del palazzo di governo, che a
Roma ha una sua storia.
Diciamo che si tratta di una grande imitazione del potere assoluto, che sta al fascismo come il circo al teatro.
Ma è evidente che non finirà tanto presto.