Il Fatto 22.12.18
Usa via dalla Siria (ma salvate i Curdi)
di Massimo Fini
La
decisione di Trump di ritirare il contingente americano (2.000 uomini)
dislocato in Siria è double face. Quella positiva è il ritorno, che
sotto Trump ha già qualche precedente con la pace con la Corea del Nord,
al tradizionale isolazionismo repubblicano che era stato rotto dai due
Bush. Con Trump non ci saranno più guerre sciagurate e questo dipende
proprio dal nucleo centrale della sua dottrina, quell’“America first”
che ha come credo la supremazia dell’economia sulla politica. Perché è
proprio per l’economia che i ceti medi americani lo hanno votato facendo
piazza pulita degli ipocriti snob, dalla Clinton allo star system di
Hollywood.
Ci saranno solo, e sono già in atto da quando The
Donald è al potere, guerre commerciali (con la Cina, con l’Europa e con
qualsiasi altro concorrente). Trump da buon imprenditore è molto attento
al quattrino e per lui la geopolitica è solo in funzione dell’economia
(avrebbe potuto essere la parte di Berlusconi se non si fosse poi
rivelato un delinquente comune, cosa che Trump non è). È quindi
comprensibile che Trump non voglia buttar via soldi mantenendo 2.000
uomini sul terreno in Siria, quando l’obiettivo principale, o almeno
quello dichiarato, era l’Isis. L’Isis combattente – e qui Trump ha
perfettamente ragione – in Medio Oriente non esiste praticamente più, si
è spostato in Pakistan, in Afghanistan, in Cecenia. Questo
atteggiamento di Trump può dare anche qualche speranza all’Afghanistan
dove gli americani mantengono 14 mila uomini e basi che gli costano 45
miliardi di dollari l’anno. E infatti è proprio di queste ore l’annuncio
di Trump di voler ritirare 7 mila uomini dall’Afghanistan, inoltre a
Doha ci sono trattative fra emissari talebani e americani con lo scopo
di porre fine a una guerra che si trascina, senza risultato, da 18 anni.
Infine,
nonostante tutte le sciocchezze sul Russiagate, i rapporti fra Trump e
Putin appaiono ottimi. I due hanno preso atto che, dopo il collasso
dell’Urss del 1989, i tempi della “guerra fredda”, intesa in modo
tradizionale, sono finiti. E questo per chi ha vissuto l’epoca
dell’“equilibrio del terrore” è un grande sollievo (si veda il
recentissimo film Cold War diretto dal regista polacco Pawel
Pawlikowski).
La faccia negativa è il consueto sacrificio dei
curdi lasciati in balia della Turchia che certo non si farà sfuggire
l’occasione. Già nel lontano 1991 il giornalista americano William
Safire scriveva sul New York Times: “Svendere i curdi… è una specialità
del Dipartimento di Stato americano”. E se mi è permesso nel 1990
durante la guerra del Golfo avevo scritto un pezzo per l’Europeo
intitolato “Chi si ricorda dei poveri curdi”, poi “Perché l’Onu non
aiuta i curdi?” (Europeo, 26.4.1991) e in seguito ho scritto decine di
pezzi, anche sul Fatto, a favore dell’indipendentismo curdo. La
popolazione curda, che è l’unica legittimata a occupare un territorio
che non a caso si chiama Kurdistan, è divisa arbitrariamente fra quattro
Stati, Iraq, Iran, Siria e Turchia. Quest’ultima ha sempre condotto una
guerra spietata all’indipendentismo curdo perché nel Paese ora
governato in modo dittatoriale da Erdogan, i curdi sono circa 14 milioni
e la Turchia ha sempre temuto che l’indipendentismo curdo sparso nei
vari Stati si potesse unire. Nel 1988 la Turchia siglò un patto leonino
con Saddam Hussein che prevedeva che gli eserciti turchi e iracheni
potessero uscire dai propri confini dando la caccia ai guerriglieri
curdi la cui debolezza è sempre stata quella di essere divisi fra il PDK
di Barzani e il PKK di ispirazione comunista guidato sino alla fine
degli anni 90 da Ocalan che poi, rifugiatosi in Italia, fu
vergognosamente consegnato alla Turchia dal governo D’Alema. Con i curdi
si è sempre fatta la politica dell’“usa e getta”. Nella guerra
all’Isis, in cui sono stati determinanti perdendo nei combattimenti
contro i feroci guerriglieri di Al Baghdadi, forse oggi i migliori del
mondo perché a loro nulla importa di morire, 10 mila uomini.
Attualmente
i curdi hanno nelle loro mani dai 3.000 ai 5.000 prigionieri dell’Isis,
perché i guerriglieri del Califfato hanno preferito consegnarsi a loro,
riconoscendosi in qualche modo negli stessi valori tradizionali,
piuttosto che agli iracheni o agli americani per non finire come gli
afghani a Guantanamo. In quanto agli Usa hanno sempre sorvolato sulle
infinite violenze fatte dal governo turco sugli indipendentisti curdi
dentro e fuori il proprio Paese. L’appoggio degli Usa all’alleato turco,
anche se oggi questa alleanza è un po’ traballante, è sempre stata una
costante americana e non si può quindi accusare solo Donald Trump se
continua questa politica, moralmente ripugnante ma di lunghissimo corso.