sabato 22 dicembre 2018

Il Fatto 22.12.18
La sinistra a cinque Stelle
Il Pd non ha più alcun modello di società da perseguire, è privo di identità e visioni: per paura di affrontare questo vuoto di idee costringe il M5S, che ha intercettato gli elettori delusi, ad appiattirsi sulla destra sovranista della Lega
di Domenico De Masi


Con la sua bella prosa levigata Ezio Mauro è tornato a offrire, su Repubblica di mercoledì scorso, la propria visione dei tempi che corrono e del ruolo che dovrebbe giocarvi la sinistra.
A suo avviso, per sopravvivere e assumere la leadership, un partito di sinistra deve attingere al suo deposito di valori e ideali, deve rappresentare interessi legittimi, deve interpretare il Paese che intende guidare, deve avere la forza e la visione per aggiornarne con coraggio l’identità politica e culturale, deve offrire al suo elettorato potenziale un progetto, un gruppo dirigente e una leadership capaci di proporre alternative alla visione e al progetto del governo avversario.
Ma qui sta il problema. Chi possiede, oggi giorno, questa visone e questo progetto? Nella lunga storia dell’umanità, la nostra società postindustriale è la prima a essere sorta senza un preventivo modello teorico. Il Sacro Romano Impero nacque sul modello della città di Dio disegnato dai Vangeli e dai padri della Chiesa; gli Stati protestanti del Seicento derivarono dal modello disegnato da Lutero e Calvino; quelli liberali e industriali dell’Ottocento furono realizzati in base alle idee di Smith e Montesquieu; l’Italia di Cavour sulle idee di Gioberti, Mazzini e Cattaneo; la Russia sovietica sulle idee di Marx, Engels e Lenin. Nell’ultimo secolo alcuni Paesi hanno imitato il modello americano, epigono terminale del liberismo, e altri il modello sovietico, epigono terminale del comunismo, ma ora che questi due modelli sono in crisi, tutti ripiegano su un confuso collage di idee e di personaggi, scontando la mancanza di una visione e di un progetto in base al quale definire le differenze tra vero e falso, bene e male, destra e sinistra. Non sapendo dove andare, nessun vento ci è favorevole. Qualche anno fa fece scalpore la dichiarazione di Fabrizio Barca a quelli della Zanzara: “Dietro il governo di Matteo Renzi non c’è un’idea”. Ma che idee ci sono dietro Trump, Putin, May o Merkel?
I modelli di società non sono elaborati dai politici ma dagli intellettuali e, se oggi la società è priva di paradigmi, visioni e progetti, sono gli intellettuali che – a differenza di quanto fecero ai loro tempi, Voltaire e Diderot – hanno tradito il loro compito lasciando la politica in balia dell’economia, della finanza e delle agenzie di rating.
Dopo il New Deal, il liberismo, riconoscendosi inadeguato, dette mano a una revisione radicale del suo paradigma e le scuole di Vienna e Chicago apprestarono una ricetta neo-liberista destinata a diventare pensiero unico. Invece il marxismo, dopo la caduta del Muro di Berlino, non ha fatto nulla per produrre un serio neo-marxismo. Nel vuoto di idee, i più spregiudicati, snob e sguarniti tra i teorici di sinistra arrivarono ad adottare e spacciare le idee neo-liberiste come forma avanzata di marxismo.
La parabola del Partito comunista italiano e del suo nome resta esemplare: da Gramsci a Berlinguer, passando per Togliatti, il Pci rappresentò il punto di riferimento del proletariato, sempre più autonomo dall’Unione Sovietica. A partire dal 1991 il Pds, capeggiato da Achille Occhetto e Massimo D’Alema, virò verso una socialdemocrazia che amava definirsi post-comunismo. A partire dal 1998 il Pds, diretto da D’Alema, Veltroni e Fassino, si colorò di “liberalismo sociale”. A partire dal 2007 il Pd, guidato da Veltroni, Franceschini, Bersani ed Epifani, virò ancora inquinandosi, oltre che di “liberalisno sociale”, anche di “cristianesimo sociale”. In tutta questa metamorfosi il ruolo ispiratore di Repubblica non fu secondario.
A questo punto, il Pd era pronto alle scorribande di un qualche Matteo Renzi che lo blindasse in una formazione politica compiutamente neo-liberista. A certificare questa avvenuta ultima mutazione, il Pd si sarebbe chiamato Partito della Nazione. “Alla fine – come ha scritto Luciano Canfora – non resta più nessuno, e quella larva di formazione politica, che viene chiamata con modo insapore ‘partito democratico’ è abitata da figure della più diversa o nulla provenienza, pervase da pulsioni e rivalità di tipo meramente personalistico”.
Ora Ezio Mauro, proseguendo nella scia dell’azione pedagogica di Repubblica, mette in guardia il Pd dalla tentazione di aprire un dialogo con i 5Stelle per due motivi: per ora il Pd è privo di un’identità forte, risolta, capace di dare coscienza compiuta di sé, e sicurezza nella rotta; in questa prima fase di governo Salvini-Di Maio, il Movimento 5 Stelle è complice della discesa sul Paese, fino a cambiarne l’anima, dell’egemonia di una nuova destra sovranista, antieuropea, razzista.
Non c’è dubbio che negli ultimi nove mesi abbiamo conosciuto un’Italia sovranista, antieuropea, razzista che esisteva fin da prima, ma che ci ostinavamo a minimizzare. E non c’è dubbio che l’unico merito di Matteo Salvini sta nell’averla evocata e convocata in tutta la sua portata, svelandola ai sociologi come me e ai giornalisti come Mauro, che per dovere professionale avrebbero dovuto soppesarla e denunziarla per proprio conto e con maggiore tempestività.
Mauro conviene sul fatto che 5Stelle e Lega sono due formazioni politiche distinte nelle loro basi sociali, portatrici di “due idee del Paese concorrenti e diffidenti, con interessi divaricati e rappresentanze contrapposte”. Deve dunque ammettere che se la Lega – come è sotto gli occhi di tutti – rappresenta una compagine decisamente sovranista, antieuropea e razzista (io direi pre-fascista), dunque il Movimento 5 Stelle, avendo interessi divaricati e rappresentanze a essa contrapposte, non può avere come sua strategia quella di attirare “cittadini e istanze di sinistra, per poi convertirli a una politica apertamente di destra, marchiata dall’ossessione contro i migranti”.
Volesse Iddio che i 5Stelle perseguissero una strategia! Il fatto è che essi sono un “movimento”, cioè un mucchio di sabbia, volatile rispetto alla Lega che è un solido mattone. In quel mucchio di sabbia convivono granelli di destra e di sinistra: secondo uno studio dell’Istituto Cattaneo, al momento delle elezioni il 45% del suo elettorato era di sinistra; il 25% di destra e il 30% fluttuante. Sempre secondo il Cattaneo, il 4 marzo ha votato per i 5Stelle il 37% degli insegnanti, il 37% degli operai, il 38% dei disoccupati e il 41% dei dipendenti della Pubblica amministrazione. Hanno votato 5Stelle un iscritto alla Cgil su tre e 1,8 milioni di ex votanti per il Pd.
Si tratta di un movimento dichiaratamente populista che ha capito prima degli altri come si gestisce il populismo in un universo politico in cui, dopo l’avvento di Internet, ogni formazione politica è costretta a fare i conti con il populismo e dal populismo può uscire o come forza democratica o come strumento di autoritarismo. Spingere i 5Stelle a considerarsi fratelli siamesi della Lega, dotati di un istinto di destra che li destina a essere antieuropei e xenofobi irriducibili, rappresenta un azzardo intellettuale troppo rozzo per un intellettuale come Ezio Mauro, aduso alla raffinatezza delle sfumature.