Il Fatto 22.12.18
Barbara Spinelli
“L’Ue ha dimostrato diritto di veto, ma si può resistere”
Per
la giornalista-deputata solo politiche più espansive possono evitare le
rivolte sociali. E la manovra italiana è un primo passo
intervista di Stefano Feltri
Barbara
Spinelli, giornalista, è in rotta con le politiche dell’Unione: si è
candidata alle Europee nel 2014 per cambiarle, nella lista Tsipras. Ma
ora, a pochi mesi dalla fine di quest’esperienza (“un mandato basta”),
vede pochi segnali di speranza: qualche politica sociale in Portogallo,
la sinistra di Corbyn in Gran Bretagna, forse il governo Sanchez in
Spagna.
Barbara Spinelli, il governo si è fatto dettare la manovra o la Commissione ha ceduto?
La
Commissione ha confermato il potere di veto che sin dal governo Monti
esercita sulle politiche decise dai governi. Abbiamo programmi ed
elezioni nazionali, e poi c’è un secondo turno a Bruxelles. Ma l’Unione
era partita con richieste più restrittive: voleva un deficit all’1,6 per
cento del Pil e si opponeva alle politiche espansive e di solidarietà
volute dal governo.
E poi c’è stata la Francia: il commissario
Pierre Moscovici ha subito approvato l’annuncio di un deficit al 3,5%
per rispondere alla rivolta dei Gilet gialli.
La Commissione non
poteva applicare due standard diversi. Ma davanti ai Gilet gialli,
Moscovici ha avuto una reazione politica, non tecnica.
E come se la spiega?
Il
Parlamento europeo ha approvato una risoluzione anomala sul codice di
comportamento della Commissione: ha accettato che i commissari si
candidino alle elezioni europee mantenendo la carica. Io ho votato
contro. Ne abbiamo già parecchi: Pierre Moscovici, Frans Timmermans,
forse Margrethe Vestager. Moscovici è in campagna elettorale in Francia:
non ha smentito la sua possibile candidatura. Si è non poco screditato.
Si poteva approvare la manovra senza il via libera della Commissione?
La
procedura di infrazione sarebbe stata molto punitiva per gli italiani. È
un bene averla evitata, senza però eliminare dalla manovra le misure
cruciali. Queste politiche europee hanno prodotto una miseria che non si
vedeva dal dopoguerra.
Non abbiamo alleati in questa sfida alle regole. Solo i Gilet gialli.
La
Grecia non poté contare neppure sulle rivolte di piazza in altri Paesi.
Juncker stesso ha ammesso che la dignità del popolo greco è stata
calpestata dall’Unione. L’Italia ha potuto far tesoro di proteste ormai
diffuse contro politiche che non producono crescita ma rivolta sociale,
come i Gilet gialli o la Brexit che non è un capriccio nazionalista ma
un voto popolare, anche se del tutto illusorio, contro l’austerità.
Questa è un’Unione disgregata e l’Italia prova a fare qualcosa. Non
entro nei dettagli della legge di Bilancio, ma a chi si scandalizza
perché Di Maio vuole ‘abolire la povertà’, ricordo che Ernesto Rossi
scrisse il libro Abolire la miseria, mentre lavorava al Manifesto di
Ventotene.
Perché Macron, campione dell’europeismo, sta finendo così male?
L’europeismo
è un guscio vuoto in cui puoi mettere quello che vuoi: il federalismo
di Hayek per azzerare il peso dello Stato in economia o il Manifesto di
Ventotene. Il prestigio di Macron è crollato in Francia ben prima che in
Europa. Quel che difende è una dottrina economica confutata dagli
studiosi sin dagli anni Settanta, secondo cui aiutare i ricchi sarebbe
nell’interesse di tutti: il benessere “sgocciolerebbe” verso i non
abbienti. La prima cosa che ha fatto è tagliare le tasse ai ricchi. E
non ha funzionato.
La lezione dei Gilet gialli è che per cambiare politica economica serve la rivolta?
Solo
politiche di bilancio più egualitarie possono prevenire insurrezioni.
Dicono che il governo italiano è populista, ma il M5S è l’espressione
parlamentare di quella protesta, il famoso ‘Vaffa’ equivale allo slogan
dei Gilet: si autodefiniscono dégagiste, vogliono mandare ‘tutti fuori’.
La democrazia rappresentativa come è fatta oggi non è in grado di
fornire veri rappresentanti delle volontà popolari. Non a caso tutti
questi movimenti chiedono strumenti di democrazia diretta.
E questa crisi della democrazia rappresentativa la preoccupa?
Sì.
Ma è stato fatto di tutto per arrivare a questo esito. Oggi serve una
riscrittura sociale delle regole, ma l’Unione punta i piedi. Draghi
parla del pericolo del nazionalismo e del populismo e annuncia che ‘a
piccoli passi si rientra nella storia’. Che vuol dire? Che il Fiscal
compact, privo com’è di qualsiasi vincolo sociale, permette una felice
uscita dalla storia, e di questo dovremmo esser grati?
Draghi ha spiegato anche che il mercato unico, l’euro, l’Unione sono legami che servono a prevenire nuovi disastri.
Ma
quali legami? L’Europa si sta sfasciando, con l’Est che va da una
parte, la Francia dall’altra, il Regno Unito fuori. Si discute di
deficit eccessivo in vari Paesi, ma da anni il surplus commerciale in
Germania supera il tetto consentito del 6 per cento, permettendole di
drenare ricchezza dal resto dell’Unione, e nessuno dice niente.
Nella campagna elettorale per le Europee si parlerà di temi sociali o di migranti?
Spero
che il punto forte sia il tema sociale da cui discende tutto il resto,
inclusa la cosiddetta questione della migrazione. Sbagliava il ministro
Minniti quando fece capire che sarebbe scoppiata una bomba sociale se
non si fermavano gli arrivi e le operazioni di Ricerca e Salvataggio. È
la bomba sociale che ha creato questa percezione del pericolo migranti.
Come giudica l’opposizione del Pd al governo?
Nefasta.
Sventolano l’europeismo e poi s’indignano con chi vuol ricostruire
l’Unione partendo dal sociale. E sul tema migranti sono gli ultimi a
poter criticare: la politica di Minniti ha prodotto accordi con la Libia
messi sotto accusa dal Consiglio d’Europa, dall’Onu. Salvini agisce in
violazione delle leggi internazionali che vietano il respingimento di
rifugiati, ma Minniti in questo lo ha preceduto.
Però ha funzionato: gli sbarchi sono calati.
Anche
i campi di concentramento hanno funzionato. Gli sbarchi sono diminuiti e
i morti in mare sono aumentati. Preferirei quasi che dicessero: ‘Li
vogliamo morti in mare’. Almeno direbbero la verità.