Il Fatto 21.12.18
Artemidoro. L’accusa: il papiro è una patacca
Luciano Canfora
Armando
Spataro è stato procuratore capo di Torino fino al pensionamento, la
scorsa settimana. Ha condotto l’inchiesta sul papiro
Nel
2004, la Compagnia di San Paolo acquista per 2,7 milioni il Papiro di
Artemidoro datato Primo secolo dopo Cristo. Il professor Salvatore
Settis lo considera autentico e ne consiglia l’acquisto. Ma nel 2013, lo
storico Luciano Canfora presenta un esposto alla Procura di Torino
sostenendo che è un falso. Si occupa dell’inchiesta per truffa
direttamente il procuratore Armando Spataro. Pochi giorni prima di
andare in pensione, Spataro chiede l’archiviazione: i possibili reati
sono ormai prescritti ma, scrive Spataro, è accertato che il papiro è
falso. Risponde sul Fatto
Salvatore Settis e osserva che la
valutazione di Spataro si basa solo sulla denuncia di Canfora senza
perizie di esperti terzi e che molti esperti internazionali hanno
riconosciuto l’autenticità del papiro del Primo secolo. Settis non è
stato ascoltato nell’inchiesta. Spataro e Canfora replicano qui sotto.
Replica/1 “È impossibile ignorare le prove della sua falsità”
Caro
Direttore, ho letto il lungo articolo del prof. Salvatore Settis che,
giovandosi di ampio spazio, si è diffuso in “quasi offese” nei confronti
di chi scrive, di cui, evidentemente, non conosce il metodo di lavoro.
Anzi, mostra di non conoscere neppure come la giustizia procede
nell’accertamento dei fatti. Soprattutto, non elenca o non
approfondisce, gli elementi posti a base del giudizio di falsità del
Papiro Artemidoro.
Il magistrato – è vero – non può sostituirsi
allo studioso o allo storico, non avendone capacità e cultura. Ma deve
obbligatoriamente, in caso di notizia di reato, approfondire – come è
stato fatto nel caso in questione – le conclusioni cui sono pervenuti
tutti gli esperti, pur se di diverse opinioni. E deve anche arricchire
il quadro delle notizie da valutare, come è stato possibile nella
inchiesta torinese, con altri accertamenti e dichiarazioni fuori dalla
portata degli studiosi, i quali, insomma, non bastano e non hanno
l’ultima parola. Anche loro, infatti, possono essere truffati, ma spesso
non se ne accorgono o non lo ammettono se legati a doppio filo alle
proprie incrollabili convinzioni. Queste, però, possono fare la fine del
ponte Morandi di Genova, se lo studioso dimostra disinteresse per
l’iter di accertamento dei fatti: in questi casi, anzi, incorre
inevitabilmente in una possibile colposa presunzione.
Non intendo
ribattere alle “quasi offese” del Settis, che alla fine mi interessano
poco (ne ho ricevute di peggiori in oltre 40 anni di lavoro), né
riprodurre la storia delle indagini e l’iter argomentativo del mio
Ufficio (cioè di tre pubblici ministeri), peraltro condiviso da un
giudice. Voglio invece manifestare la mia sorpresa per come il
professore non prenda in considerazione molti argomenti sottoposti al
vaglio del giudice: dalla inesistenza di qualsiasi documentazione
attestante la provenienza del reperto (il che depone per la sua falsità)
agli ammonimenti di competenti Autorità Egiziane che hanno fatto
rilevare l’impossibilità di esportare legalmente dall’Egitto, nell’anno
dichiarato, un bene autentico di valore culturale (il che avrebbe
violato la Convenzione Unesco del 1970 e basterebbe di per sé a
configurare la truffa); dalla accertata falsità del fotomontaggio del
cosiddetto Konvolut “contenitore” da cui il papiro proverrebbe
(affermazione avente il fine di documentare l’origine dell’“Artemidoro” e
di sostenerne l’autenticità) al fatto che il reperto è stato tenuto a
lungo “in cantina” (sei anni nel Deposito di Venaria Reale), circostanza
anomala per un reperto di così alto valore e non altrimenti spiegabile
se non con le forti riserve sulla sua autenticità; dalla circostanza che
il Museo di Antichità Torinese di via XX Settembre, che dopo averlo
“preso in carico” nel 2012 a seguito del rifiuto del Museo Egizio, lo
espone con l’avviso che potrebbe trattarsi di un falso, fino all’esito
dei primi accertamenti disposti dal Mibact sulla composizione degli
inchiostri usati per il papiro Artemidoro risultata decisamente diversa
da quella degli inchiostri usati nei papiri egiziani che coprono il
periodo dal I al VI secolo.
Il Settis, inoltre, cita l’esito
neutro delle indagini dei carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio
Culturale di Roma, tacendo del tutto su quelle condotte da altro
presidio dei carabinieri di Torino.
Potrei dire molto altro, ma mi
limito a un commento sull’irridente chiusura del prof. Settis, il quale
dice: “Se il il dr. Spataro, con la sua dissertazione, aspira a una
laurea in papirologia, la sentenza è questa: bocciato”. Vero, finirebbe
certamente così. Ma io non ho mai pensato a quella laurea, anche perché,
talvolta, competenze e conseguenze che ne derivano e che si vedono in
giro non mi paiono esaltanti.
Armando Spataro
Replica/2 “Il testo rivela che è solo l’opera di un burlone”
L’inconsistenza
dell’intervento apologetico del professor Settis pubblicato su questo
quotidiano traspare già da alcune cifre. Evoca 200 studiosi sostenitori
(a suo dire) dell’autenticità dello pseudo-Artemidoro. Ma questo stuolo
rassomiglia alla fantomatica armata di 30.000 combattenti pronti a tutto
che Alessandro Pavolini garantiva al Duce in fuga essere pronti alla
lotta in Valtellina. Basta scorrere le pagine dell’Année Philologique
per smentirlo.
Resta comunque in piedi la domanda: da quando in qua i problemi scientifici si risolvono a maggioranza?
L’argomento
– se così può definirsi – che scorre monotono da un capo all’altro
dell’intervento apologetico è la “chiamata di correo” della cosiddetta
“comunità scientifica”: va da sé dislocata tutta “a nord di Chiasso”.
Vengono però chiamati per nome soltanto due colleghi purtroppo defunti, i
quali – a onor del vero – erano intervenuti prima che la gran parte
delle argomentazioni demolitrici dello pseudo-Artemidoro venissero
pubblicate. A ogni modo prendiamo atto che, evidentemente, studiosi
quali Richard Janko, Germaine Aujac, Peter van Minnen, Herwig Maehler,
Daniel Delattre, ecc. – che dallo pseudo-Artemidoro non furono
abbagliati – non fanno parte della comunità scientifica (o forse sono
nati a sud di Chiasso).
La fabbricazione di un fotomontaggio – il
comicissimo Konvolut, che avrebbe dovuto raffigurare lo
pseudo-Artemidoro in statu nascenti anzi nella vita prenatale ed è però
effigiato su carta fotografica prodotta anni dopo lo smontaggio – resta
uno dei punti più alti nella lunghissima storia dei falsi. Fare un falso
per salvarne un altro. Un flop, autentico.
Non credo che valga la
pena sprecare ancora tempo su di un testo (la colonna 1 dello
pseudo-Artemidoro) che comincia con parole che si ritrovano in opere
moderne: dalla ottocentesca Geografia di Carl Ritter al manuale
settecentesco di pittura sacra di Dionigi di Furnà. Libro prediletto da
Costantino Simonidis autore dello pseudo-Artemidoro. Il burlone volle
poi anche disseminare qua e là nello pseudo-Artemidoro frasi tratte da
suoi scritti.
Insomma, suggerirei al loquace difensore di seguire
il consiglio cristianissimo del suo pseudo-Artemidoro: “Soppesare
l’anima prima di accingersi alla geografia”, “tenendo ben strette
intorno a tutto il corpo tali e tante armi mescolate”. Che mattacchione
quello pseudo-Artemidoro, o, come mi scrisse un dotto collega, “un
perfetto cretino”.
Luciano Canfora