Corriere 21.12.18
Il pamphlet di Emanuele Macaluso
Portella della Ginestra, una strage «di stato»
di Paolo Franchi
Le
stragi che hanno insanguinato l’Italia? Sono, senza eccezione,«di
Stato». E «di Stato» sono pure, anche qui senza eccezione, inquinamenti,
manomissioni, occultamenti della verità, trattative inconfessabili,
come quella con la mafia. Così vuole, da quasi cinquant’anni a questa
parte, una lettura quanto mai diffusa delle pagine più oscure della
storia repubblicana. E poco importa che, in sede giudiziaria, non siano
emersi con nettezza, accanto a quelli di tanti personaggi di secondo o
di terzo piano, nomi che fossero espressione di quei «massimi vertici»
statali immancabilmente rappresentati come mandanti o complici di tanti
orrori. La percezione di larga parte dell’opinione pubblica, alimentata a
piene mani da tv, giornali, libri, film, e anche sentenze, è e resta
questa. A farne le spese è prima di tutto la reputazione, chiamiamola
così, di uno Stato che, nella sua impersonalità, a differenza dei
singoli non può difendersi. Questo, in estrema sintesi, scriveva qualche
mese fa, in un suo editoriale sul Corriere Paolo Mieli. Avanzando una
tesi che avrebbe potuto, e forse dovuto, sollevare discussioni e anche
polemiche aspre. Ma che invece non le sollevò.
Possibile che della
«qualità politico-morale dello Stato italiano, retto da un regime
democratico», non importi più niente a nessuno? Se lo è chiesto, non
senza angoscia, Emanuele Macaluso. Che proprio dalla lettura critica
dell’articolo di Mieli ha tratto spunto per tornare a pubblicare
integralmente un suo saggetto di una ventina di anni fa, con una densa
nota introduttiva e un significativo cambiamento nel titolo. «Portella
della Ginestra. La prima strage di Stato», si intitolava il pamphlet
pubblicato nel 1994 dall’Espresso, «Portella della Ginestra. Strage di
Stato?», si intitola la nuova edizione, appena arrivata in libreria per i
tipi di Castelvecchi. Il punto interrogativo, si legge
nell’introduzione, sta lì a testimoniare la volontà dell’autore «di
cogliere l’occasione per discutere l’interessante scritto di Mieli». Non
certo l’insorgere di un ripensamento.
Nella sua lunga vita di
sindacalista, di dirigente comunista e di giornalista, Macaluso non ha
mai fatto proprie categorie (il «doppio Stato», lo «Stato parallelo», lo
«Stato nello Stato») che dovrebbero dare un po’ di sostanza a una
lettura tanto tranchant quanto generica di molti passaggi chiave della
nostra storia. E anche alla locuzione «strage di Stato», peraltro assai
più cara alla sinistra extraparlamentare che alla tradizione comunista,
ha sempre fatto ricorso con grande parsimonia. Non è un esperto di trame
nere, servizi deviati, infiltrazioni. Ma la storia di Portella della
Ginestra, dove nel 1947 Salvatore Giuliano e i suoi uomini aprirono il
fuoco sui lavoratori convenuti con le famiglie a celebrare il Primo
Maggio, lasciando sul terreno undici persone tra cui due bambini, di
quello che la precedette e di tutto quello che ne seguì, via via fino
all’uccisione di Giuliano (con annessa bugia di Stato) e poi, in
carcere, mediante caffè corretto alla stricnina, del suo luogotenente
Gaspare Pisciotta, di quella Sicilia e di quei rapporti tra mafia,
istituzioni e politica siciliana e nazionale, Macaluso la conosce sin
troppo bene, e dubbi proprio non ne ha. «Collocata nel tempo e nelle
condizioni politiche dell’Italia di allora, fu una strage di Stato. Da
allora nella storia della Repubblica restano interrogativi inquietanti,
che non si possono eludere perché sono cruciali per la nostra
democrazia», scrive. A me, per quel che vale, riesce difficile dargli
torto. In ogni caso, comunque si vogliano definire quella strage e
quell’oscuro passaggio della nostra storia, questo piccolo libro
testimonia di una conoscenza dei fatti e di una passione politica,
civile e intellettuale che invogliano alla lettura e fanno onore
all’autore. Nonostante possano apparire estranee allo spirito del tempo.
O forse proprio per questo.