Il Fatto 1.12.18
Moretti torna con il lutto di un’intera generazione
Al festival - Presentato “Santiago, Italia”
La
fine di Allende – Il golpe dell’11.9. 1973 in Cile, la Moneda
bombardata, la morte del presidente e il golpe di Pinochet sono al
centro della storia
di Federico Pontiggia
Santiago,
Italia: loro e noi, ieri e oggi. Il tramite della solidarietà, e il
punto di vista: Nanni Moretti apre il documentario con Nanni Moretti che
guarda, dall’alto, la città di Santiago del Cile. Lo vediamo di spalle,
il montaggio perfeziona la semi-soggettiva: è la prospettiva del
regista, ma anche la nostra, è un concorso di sguardi, e presa di
coscienza.
Al 36° Festival di Torino, dove fu direttore, porta il
suo quarto documentario: due proiezioni stampa, per l’estera (?) e
l’italiana, e oggi alle 22.00 al Cinema Reposi l’unica per il pubblico,
con saluto in sala. Dietro la macchina da presa Nanni mancava dal
lungometraggio di finzione Mia madre del 2015, stavolta fa parlare solo
il film, più o meno.
Santiago, Italia arriverà sugli schermi il 6
dicembre, tagliandoli con il lutto precipuo di una generazione: il golpe
dell’11 settembre 1973 in Cile, la Moneda bombardata dall’aviazione
nazionale, Salvador Allende forse morto suicida, comunque assassinato
dal colpo di mano del generale Pinochet. Alla faccia de la izquierda
unida jamás será vencida, in spregio di Neruda, el pueblo te saluda, a
detrimento de l’Unidad Popular: gli statunitensi si spaventarono di un
leader socialista democraticamente eletto, temerono il contagio
all’Italia e alla Francia, e agirono di conseguenza, ché “è dimostrato
dagli stessi documenti americani (gli archivi della Cia, il Rapporto
Church del Senato, ndr) il ruolo fondamentale dei soldi Usa nella
cospirazione e nella sedizione in Cile”. Lo attesta l’avvocato Carmen
Hertz, tra i tanti intervistati da Moretti a comporre un fil rouge
diacronico, un percorso storico e precipitato civile di testimonianze.
Lo specchio è riflesso: “Come guardi ai tuoi anni di militanza?”, chiede
il cineasta, “Se c’è qualcosa di bello in questa vita non è solo
potersela guadagnare degnamente, ma farlo per gli altri”, gli
rispondono, e non c’è divieto di inversione.
La consapevolezza,
filtrata dall’estremo messaggio di Allende, che “non ci sarebbe stata
nessuna resistenza, alcuna guerra civile, che finiva un’epoca”, il
sergente che esplode un “Mierda, che stiamo facendo?”, gli agenti della
famigerata Dina, la polizia segreta, che si beano delle P-38 “come nei
B-movie coi nazisti”, le torture perpetrate a Villa Grimaldi, le scosse
elettriche ai testicoli e le vagine straziate, e la migliore resistenza,
quella della Chiesa cattolica. Allo scomparso cardinale Raúl Silva
Henríquez Moretti tributa un doppio onore: è sua l’unica intervista
d’archivio, è per lui la commozione del traduttore Rodrigo Vergara, che
stigmatizza come fu “fatto fuori da Wojtyla appena compiuti i 75 anni” e
da ateo ancora singhiozza “per la statura morale di questo prete,
talmente grande che i giovani volevano farsi sacerdoti”.
Poi, i
militari. L’ex portavoce di Pinochet, l’impunito generale Guillermo
Garin, secondo cui “il golpe fu cosa buona, perché il paese era
sull’orlo della guerra civile”, e che la logica vada a farsi fottere;
Raúl Iturriaga, già a capo del centro di torture La Venda Sexy,
condannato per sequestro e omicidio (anche in Italia, in contumacia, per
il fallito assassinio del connazionale Bernardo Leighton a Roma, nel
quadro dell’Operazione Condor), alle cui rimostranze sul metodo
dell’intervista Moretti entra in campo e oppone un reiterato “Io non
sono imparziale”. Legittimo, altroché, ma il più pericoloso dei due,
quantomeno oggi, pare essere Garin, e che l’unico sconfinamento fisico
di Nanni nel doc arrivi per il secondo, detenuto, lascia qualche
perplessità, etica più che cinematografica.
Quindi, l’ambasciata
italiana a Santiago, primo rifugio dei dissidenti. Saltandone il muro di
recinzione, allora alto appena due metri, guadagnavano la salvezza, non
la sicurezza: in loco potevano sempre rischiare di essere espulsi dal
partito socialista per indisciplina, al rifiuto di pelare le patate.
Complice il diplomatico Piero De Masi, e l’ambiguo silenzio-assenso alla
richiesta di visti dell’allora ministro degli Esteri Aldo Moro,
attraversavano la capitale e trasvolavano l’Atlantico, trovando un
futuro nei campi dell’Emilia e nelle fabbriche a Milano: “Nessun lavoro
nero, nessuna porcheria, mi hanno accolto, mi han permesso di
integrarmi”, e il qui e ora è tangibile. Chiude l’imprenditore Erik
Merino, che fu cardinale cileno in Habemus Papam: “Oggi viaggio per
l’Italia e vedo che assomiglia sempre di più al Cile, nelle cose
peggiori del Cile”.
Il problema, dice, è “l’individualismo”: l’individualità di Moretti è la soluzione?