Il Fatto 14.12.18
Salvini, il ministro di Tutto e i 60 milioni di baionette
di Antonio Padellaro
“Chiedo
a voi il mandato di andare a trattare con l’Ue, non come ministro, non
come governo, ma a nome di 60 milioni di italiani”. Questa frase non è
stata pronunciata dal nuovo presidente della Repubblica italiana, Matteo
Salvini, eletto direttamente dal popolo con voto plebiscitario. E
neppure dal generale Matteo Salvini, capo della giunta militare che ha
sciolto il Parlamento e imposto la legge marziale. E neppure da tale
Matteo Salvini, senza fissa dimora, fermato dagli agenti del vicino
commissariato mentre molestava i passanti con frasi sconnesse.
No,
queste affermazioni appartengono al Matteo Salvini vicepremier e
ministro degli Interni, rivolte a migliaia di militanti della Lega
accorsi plaudenti, sabato a piazza del Popolo. Senza però che abbiano
destato reazioni percepibili oltre il Pincio e via del Corso. Silenzio a
Palazzo Chigi, dove nessuno ha obiettato che forse quel mandato sarebbe
di stretta competenza del presidente del Consiglio (anche perché il
compito di negoziare con l’Europa era stato appositamente affidato a lui
dai due vicepremier). Però, come da Contratto, Giuseppe Conte non ha
fiatato. Del resto, è dalla nascita del governo gialloverde che Salvini
ricopre a giorni alterni tutte le principali funzioni dell’esecutivo,
senza che nessuno abbia avuto alcunché da obiettare. Ministro degli
Interni (dove peraltro non si vede spesso). Ma anche ministro dello
Sviluppo economico: tavolata al Viminale per dire sì alle grandi opere.
Ma anche ministro degli Esteri: visite ufficiali nel Qatar e in Israele,
consultazioni permanenti con il gruppo di Visegrad, ospite gradito al
Cremlino, in attesa di recarsi da Donald Trump alla Casa Bianca. Ma
anche ministro della Difesa: l’accusa di terrorismo agli Hezbollah. Ma
anche ministro delle Infrastrutture: fosse per lui la Torino-Lione
dovrebbe essere già in funzione e chissenefrega dei No Tav. In attesa di
occupare Sanità, Pubblica Istruzione e Beni culturali (per lo Sport ha
già provveduto il fido sottosegretario Giancarlo Giorgetti
commissariando il Coni), Salvini sta sperimentando una nuova figura
istituzionale. Quella del premier demoscopico, convinto di rappresentare
non più il 17% dei voti ottenuti il 4 marzo, ma (almeno) il doppio.
Come da sondaggi. Consenso che, se anche un giorno si realizzasse,
arriverebbe a coprire dieci dei 60 milioni di baionette immaginati dal
novello duce.
Forte di questo voto virtuale, il Matteo
onnicomprensivo impone la sua maldestra invadenza, a cominciare
dall’ufficio affidatogli: il tweet mattutino per attribuirsi
l’operazione (ancora in corso) della Procura di Torino contro la mafia
nigeriana, resta un unicum ineguagliabile. Senza contare i contraccolpi
internazionali delle sue pericolose alzate d’ingegno, degne
dell’ispettore Clouseau. La frase sugli “Hezbollah terroristi”, che ha
creato un comprensibile allarme nel contingente italiano in Libano,
impegnato da anni in una delicatissima missione, è contenuto nel solito
insensato tweet. Che si apre con un ilare: “Saluto da Tel Aviv, Amici”,
che perfino Toninelli avrebbe ritenuto del tutto idiota. Resta il fatto
che, a parte qualche velata protesta di Luigi Di Maio a proposito delle
concertazioni domenicali del cosiddetto “capitano”, le salvinate, che in
altri tempi avrebbero già provocato una crisi di governo, continuano a
imperversare senza che nessuno imponga un alt. Non i Cinquestelle,
evidentemente timorosi di una rottura con la Lega, che potrebbe presto
precipitare in elezioni anticipate. E figuriamoci il povero Conte che,
volato in missione a Bruxelles, più che le condizioni non negoziabili di
Juncker dovrà temere le improvvide pensate dell’eccitato ministro.