Il Fatto 12.12.18
Ma quale mistero: il 12 dicembre 1969 sappiamo chi è stato
di Gianni Barbacetto
Sono
passati 49 anni da quel 12 dicembre 1969 in cui una bomba scoppiata in
piazza Fontana a Milano ha strappato l’innocenza all’Italia. Era la
prima volta, la madre di tutte le stragi. Erano le 16.37 di un
pomeriggio uggioso, umido, grigio, ma con il centro città elettrizzato
dal clima festoso delle settimane che precedono il Natale. Una carica di
circa un chilo e mezzo di gelatina di dinamite esplode nel salone
circolare della Banca nazionale dell’agricoltura, in cui sono in corso,
come ogni venerdì pomeriggio, le contrattazioni del mercato degli
agricoltori.
L’onda d’urto e le schegge uccidono 17 persone e
provocano 88 feriti. Subito le indagini si indirizzano a sinistra. Viene
arrestato un anarchico, Pietro Valpreda, il cui gruppo era stato
inzeppato di poliziotti, provocatori, fascisti. Un altro anarchico, il
ferroviere Pino Pinelli, è fermato e tenuto illegalmente in questura. Ne
esce morto il 15 dicembre, diciottesima vittima della strage. I
funerali dei morti nella banca si svolgono in una piazza Duomo gremita e
grigia e silenziosa. Con gli operai arrivati dalle grandi fabbriche di
Sesto San Giovanni a presidiare non solo la piazza, ma una svolta
storica che puzza di eversione, di “vogliamo i colonnelli”. Mentre
l’inchiesta, strappata a Milano, racconta che la strage è anarchica,
nelle piazze e sui muri viene scritta un’altra verità: “Valpreda è
innocente. La strage è di Stato”.
Seguono altre bombe, manovre
eversive, tentati golpe. Le inchieste negli anni crescono, i processi si
moltiplicano e si ingarbugliano, mandano alla sbarra rossi e neri, poi
solo i neri, infine assolvono. La memoria intanto si perde. Il
terrorismo rosso – che era cresciuto anche per “vendicare” piazza
Fontana – arriva a far dimenticare quello nero e di Stato. Vince alla
fine una mistica dei misteri in cui tutto è oscuro, indecifrabile,
incomprensibile. La storia d’Italia diventa una notte nera in cui ogni
ipotesi vale un’altra. Invece la verità la conosciamo, ormai sappiamo
che cosa è successo. In piazza Fontana, 49 anni fa, è stato compiuto il
primo atto feroce di una guerra segreta che è proseguita per un paio di
decenni, almeno fino alla caduta del Muro di Berlino. Non sappiamo il
nome di chi ha portato la borsa nel salone della banca, ma sappiamo chi
l’ha organizzata, sappiamo chi ha permesso che si facesse, sappiamo chi
ha protetto gli esecutori, esfiltrato i testimoni, depistato le
indagini.
A certificarlo sono le stesse sentenze che assolvono. La
strage di piazza Fontana, come quelle seguenti della Questura di Milano
(1973) e di piazza della Loggia a Brescia (1974), è stata compiuta dal
gruppo fascista e filonazista Ordine nuovo, ben conosciuto e ben
collegato con servizi segreti e apparati dello Stato, oltre che con
strutture d’intelligence Usa. I responsabili dell’attentato sono Franco
Freda e Giovanni Ventura, come afferma una sentenza della Cassazione del
2005, anche se non possono più essere condannati perché definitivamente
assolti per lo stesso reato nel 1987. L’unico con sentenza definitiva
di condanna è Carlo Digilio, armiere di Ordine nuovo, morto nel 2005
dopo aver confessato il suo ruolo e raccontato le imprese del suo
gruppo.
Per riallacciare i fili della memoria può essere utile
leggere un libro appena uscito, che ha per titolo la data iconica, 12
dicembre 1969, è stato scritto da Mirco Dondi, professore all’Università
di Bologna, ed edito da Laterza. Una ricostruzione del giorno della
strage con uno sguardo incrociato sulle vittime, sugli esecutori e su
chi, dentro le istituzioni, li ha allevati, lasciati fare, protetti.
Nessuna rivelazione, ma la nitida enunciazione di ciò che non possiamo
più far finta di non sapere.