martedì 11 dicembre 2018

Il Fatto 11.12.18
Faber e Dori prigionieri dell’Hotel Supramonte
Agosto 1979, i De André vengono rapiti e sequestrati in Sardegna: un saggio ne ripercorre il calvario
di Stefano Mannucci

Pubblichiamo uno stralcio del nuovo libro di Stefano Mannucci, “L’Italia suonata. Dagli anni del boom al nuovo millennio: la storia e la musica”, edito da Mursia e Rtl 102.5, in libreria da ieri.

È già un’ora, un’ora e mezza. Quanto durerà ancora questo supplizio? A occhi bendati, l’unica cosa che ti conforta è il familiare rumore asmatico della tua Dyane gialla, il motore che agonizza su ogni salita, tra le curve grezze che questi banditi affrontano, una dopo l’altra, mentre tu e Dori provate una morsa allo stomaco, lì buttati sui sedili posteriori, una nausea figlia non solo dell’ora e del viaggio, ma soprattutto della circostanza.
Che vogliono davvero, questi signori? Quando sono entrati in casa la giornata sembrava già finita, tutti quei parenti attorno a celebrare la festa del patrono, poi i nonni s’erano portati via la piccola Luvi, e meno male, altrimenti chissà come sarebbe finita. Faber e Dori stavano per andare a letto, lei si era attardata in cucina, sai come sono le donne, non si coricano se hanno l’impressione che in giro ci sia ancora disordine. Lui era già salito al piano di sopra, quando due di questi individui avevano immobilizzato la sua compagna. Un terzo faceva da palo. Un quarto, incappucciato, gli aveva puntato un fucile addosso, intimandogli di prepararsi, di portare con sé abiti adatti per l’autunno e oltre: la cosa rischiava di andare per le lunghe, e oggi è solo il 27 agosto di quest’anno tumultuoso di fine decennio, il 1979.
Faber non aveva voluto crederci: chi mai poteva avercela con lui e la sua famiglia? “Cos’è, uno scherzo? Avanti, togliti quel passamontagna. Chi sei? Ti conosco?”, aveva detto all’intruso, sperando in una lugubre burla destinata a evaporare in una risata. Quello lo aveva tenuto a tiro, senza accogliere obiezioni. De André non lo sa, ma il capobanda aveva raccolto le confidenze di una donna di servizio nella casa dell’Agnata e nel pomeriggio aveva dato via libera ai sequestratori: “Tutto a posto, stasera procedete, a dormire resteranno solo loro due”.
E dire che Dori – neppure questo Fabrizio può saperlo, non ancora – è una soluzione di ripiego. A essere portato via con il padre avrebbe dovuto essere il diciassettenne Cristiano. “Sì, avevo progettato di andare a trovare papà”, ricorderà con me De André jr. quasi quarant’anni dopo, “ma era arrivato da Genova un amico mio, aveva preso il traghetto imbarcandosi con la Vespa, così avevo deciso di spassarmela restando nella casa di mia zia a Portobello di Gallura”.
Quanto durerà questo supplizio? Quanta benzina c’è nel serbatoio? Un nevrotico colpo di freno e finalmente la Dyane si ferma. “Scendete!”, è l’ordine impartito alla coppia di artisti dai rapitori. Nel cuore di una notte in cui ai tuoi occhi viene negato di vedere, ti affidi alle orecchie che percepiscono gli echi ostili di una natura silvestre e il battito del cuore impazzito della tua donna. Il tuo non risponde, ha deciso di non assecondare il ritmo della paura. Puoi congratularti con le tue gambe, i tuoi piedi, che ora più che mai devono sostenerti, tu intellettuale sedentario dei miei stivali, faglielo vedere ai banditi che sei in grado di sostenere questa prova, ti aspettano due giorni di marcia tra le montagne di Pattada, verso un primo nascondiglio dove resterete per una settimana, e da lì fino a un secondo rifugio sotto le stelle, tu e Dori nella suite fatta di terra fango sassi e pioggia dell’Hotel Supramonte (così lo chiamano in codice i loro carcerieri, ma il vero Supramonte è dalle parti di Orgosolo, qui invece siamo alle pendici del Lerno), quattro mesi di prigionia, una catena al piede e un lucchetto che vi sigilla al tronco di un leccio, un uomo solo e una donna in fiamme che l’Italia ha perso di vista, due dei 16 rapiti in questi mesi nella Sardegna dove l’Anonima Sequestri la fa da padrone.
Passata la prima notte, scattato l’allarme, il presidente del Consiglio Cossiga prende di petto il ministro degli Interni Virginio Rognoni. Cossiga è figlio di quest’isola meravigliosa, complicata e fiera: paradossalmente, è uno dei politici di punta che tiene sotto costante osservazione il cantautore Fabrizio De André, le cui note simpatie anarchiche avevano fatto ipotizzare addirittura un suo coinvolgimento nelle trame oscure dietro la strage di piazza Fontana, e che oggi, stando alle valutazioni dei Servizi segreti, potrebbe essere un fiancheggiatore delle Brigate Rosse, magari ospitando terroristi latitanti nella sua tenuta dalle parti di Tempio Pausania.
Cossiga non deve essere un attento ascoltatore dell’opera di De André: basterebbe mettere sul giradischi La guerra di Piero, con quel soldato che si fa cogliere dal dubbio e non vuole sparare su un suo simile con una divisa diversa. Alla fine viene ucciso in un campo di grano dal nemico, che invece non coltiva incertezze.