Il Fatto 11.12.18
Faber e Dori prigionieri dell’Hotel Supramonte
Agosto 1979, i De André vengono rapiti e sequestrati in Sardegna: un saggio ne ripercorre il calvario
di Stefano Mannucci
Pubblichiamo
uno stralcio del nuovo libro di Stefano Mannucci, “L’Italia suonata.
Dagli anni del boom al nuovo millennio: la storia e la musica”, edito da
Mursia e Rtl 102.5, in libreria da ieri.
È già un’ora,
un’ora e mezza. Quanto durerà ancora questo supplizio? A occhi bendati,
l’unica cosa che ti conforta è il familiare rumore asmatico della tua
Dyane gialla, il motore che agonizza su ogni salita, tra le curve grezze
che questi banditi affrontano, una dopo l’altra, mentre tu e Dori
provate una morsa allo stomaco, lì buttati sui sedili posteriori, una
nausea figlia non solo dell’ora e del viaggio, ma soprattutto della
circostanza.
Che vogliono davvero, questi signori? Quando sono
entrati in casa la giornata sembrava già finita, tutti quei parenti
attorno a celebrare la festa del patrono, poi i nonni s’erano portati
via la piccola Luvi, e meno male, altrimenti chissà come sarebbe finita.
Faber e Dori stavano per andare a letto, lei si era attardata in
cucina, sai come sono le donne, non si coricano se hanno l’impressione
che in giro ci sia ancora disordine. Lui era già salito al piano di
sopra, quando due di questi individui avevano immobilizzato la sua
compagna. Un terzo faceva da palo. Un quarto, incappucciato, gli aveva
puntato un fucile addosso, intimandogli di prepararsi, di portare con sé
abiti adatti per l’autunno e oltre: la cosa rischiava di andare per le
lunghe, e oggi è solo il 27 agosto di quest’anno tumultuoso di fine
decennio, il 1979.
Faber non aveva voluto crederci: chi mai poteva
avercela con lui e la sua famiglia? “Cos’è, uno scherzo? Avanti,
togliti quel passamontagna. Chi sei? Ti conosco?”, aveva detto
all’intruso, sperando in una lugubre burla destinata a evaporare in una
risata. Quello lo aveva tenuto a tiro, senza accogliere obiezioni. De
André non lo sa, ma il capobanda aveva raccolto le confidenze di una
donna di servizio nella casa dell’Agnata e nel pomeriggio aveva dato via
libera ai sequestratori: “Tutto a posto, stasera procedete, a dormire
resteranno solo loro due”.
E dire che Dori – neppure questo
Fabrizio può saperlo, non ancora – è una soluzione di ripiego. A essere
portato via con il padre avrebbe dovuto essere il diciassettenne
Cristiano. “Sì, avevo progettato di andare a trovare papà”, ricorderà
con me De André jr. quasi quarant’anni dopo, “ma era arrivato da Genova
un amico mio, aveva preso il traghetto imbarcandosi con la Vespa, così
avevo deciso di spassarmela restando nella casa di mia zia a Portobello
di Gallura”.
Quanto durerà questo supplizio? Quanta benzina c’è
nel serbatoio? Un nevrotico colpo di freno e finalmente la Dyane si
ferma. “Scendete!”, è l’ordine impartito alla coppia di artisti dai
rapitori. Nel cuore di una notte in cui ai tuoi occhi viene negato di
vedere, ti affidi alle orecchie che percepiscono gli echi ostili di una
natura silvestre e il battito del cuore impazzito della tua donna. Il
tuo non risponde, ha deciso di non assecondare il ritmo della paura.
Puoi congratularti con le tue gambe, i tuoi piedi, che ora più che mai
devono sostenerti, tu intellettuale sedentario dei miei stivali,
faglielo vedere ai banditi che sei in grado di sostenere questa prova,
ti aspettano due giorni di marcia tra le montagne di Pattada, verso un
primo nascondiglio dove resterete per una settimana, e da lì fino a un
secondo rifugio sotto le stelle, tu e Dori nella suite fatta di terra
fango sassi e pioggia dell’Hotel Supramonte (così lo chiamano in codice i
loro carcerieri, ma il vero Supramonte è dalle parti di Orgosolo, qui
invece siamo alle pendici del Lerno), quattro mesi di prigionia, una
catena al piede e un lucchetto che vi sigilla al tronco di un leccio, un
uomo solo e una donna in fiamme che l’Italia ha perso di vista, due dei
16 rapiti in questi mesi nella Sardegna dove l’Anonima Sequestri la fa
da padrone.
Passata la prima notte, scattato l’allarme, il
presidente del Consiglio Cossiga prende di petto il ministro degli
Interni Virginio Rognoni. Cossiga è figlio di quest’isola meravigliosa,
complicata e fiera: paradossalmente, è uno dei politici di punta che
tiene sotto costante osservazione il cantautore Fabrizio De André, le
cui note simpatie anarchiche avevano fatto ipotizzare addirittura un suo
coinvolgimento nelle trame oscure dietro la strage di piazza Fontana, e
che oggi, stando alle valutazioni dei Servizi segreti, potrebbe essere
un fiancheggiatore delle Brigate Rosse, magari ospitando terroristi
latitanti nella sua tenuta dalle parti di Tempio Pausania.
Cossiga
non deve essere un attento ascoltatore dell’opera di De André:
basterebbe mettere sul giradischi La guerra di Piero, con quel soldato
che si fa cogliere dal dubbio e non vuole sparare su un suo simile con
una divisa diversa. Alla fine viene ucciso in un campo di grano dal
nemico, che invece non coltiva incertezze.