Il Fatto 10.12.18
Socrate, Gesù, Alessandro Magno: la Storia è una rottura generazionale
Dal mondo antico ad oggi, l’uomo si compie nel momento della cesura della trasmissione culturale con gli avi
di Pietrangelo Buttafuoco
Iparenti
meno prossimi sono proprio i più intimi, il padre e la madre: “Quale
bambino”, si domanda Zaratustra, “non avrebbe ragione di piangere per i
suoi genitori?”.
Friedrich Nietzsche fa un ammonimento a se
stesso. Cestina, tra le ingenuità, il divieto biblico – “Tu non
ucciderai” – e ai décadents raccomanda una rottura rispetto
all’ascendenza: “Voi non procreerete!”. Anche la preghiera più sentita,
il Pater, segna una cesura verso il continuum genealogico – “lo spezza”,
dice Peter Sloterdijk, filosofo – e un padre differente, che sta nei
cieli, si accompagna a un figlio differente.
Nel Corano è così
recitato: “Da Lui veniamo a Lui torniamo”. Nella civiltà cristiana
questa prossimità celeste si alimenta – grazie all’esemplarità dei
santi, Francesco d’Assisi su tutti – con l’imitatio Christi, e ancora
Sloterdijk, nel suo I figli impossibili della nuova era, un’indagine sul
ruolo del bastardo nella frattura generazionale, così s’interroga:
“Ogni persona ragionevole non farebbe bene a fare ritorno in Lui e ‘in
lui’ il più presto possibile?”.
L’editrice Mimesis ha dato alle
stampe la traduzione italiana di questo saggio – Sull’esperimento
anti-genealogico dell’epoca moderna è il sottotitolo – attraverso cui,
Sloterdijk, autore celebrato di Critica della Ragion cinica e di Sfere,
già rettore a Karlsruhe della Staatliche Hochschule fur Gestaltung,
indaga i processi generazionali e i loro esiti teorici. Socrate, Edipo,
Gesù – ma anche con il Sikander, ovvero Alessandro il Macedone, con
Giove Ammone, suo diretto padre, ancor più che il genitore Filippo – i
modelli fondati da antenati remoti, trovano un’altra scelta.
Le
riproduzioni decisive, infatti, trovano fonte sempre nell’oltretomba, ma
gli imperativi rituali, veicoli di doveri essenziali, nella frattura
“bastarda”, adottano un’ulteriore opzione. E così è nel palcoscenico
della storia.
Il passaggio dal mondo degli avi a quello dei
discendenti è una catena di imitazioni confidante in una stabilità che
eviti, in qualunque modo – al prezzo di una totale appartenenza –
un’esclusione mortale: “Non esistono pensieri più bui”, scrive il
filosofo, “di quelli per cui i divini antenati, a cui si deve ciò che si
è, non siano stati altro che gocce nell’oceano di possibilità
migliori”.
L’avvento del bastardo – la cesura generazionale, la
frattura che sorge dalla scoperta di un altro mondo possibile –
riavvolge il filo genealogico al punto di “non lasciare intentato nulla
di ciò che favorisca, per quanto lo riguarda, l’ascensione al cielo”.
La
crisi immedicabile dell’umano è nell’estrema misura del possibile. Il
possibile si misura nell’esatto computo di ciò che sta in terra. La
paternità è radice, gea è generatrice. L’ulteriore decantazione impegna
l’oscuro oggetto della continuità.
Appunto, Francesco, un figlio
impossibile in questa nostra nuova era: “Finora su questa terra ho
chiamato Pietro Bernardone padre mio, d’ora in avanti io voglio dire
Padre nostro che sei nei cieli…”.