domenica 16 dicembre 2018

Corriere La Lettura 16.12.18
L’altruismo conviene, rafforza solidarietà e conoscenze
di Termo Pievani


Sacrificarsi per i propri figli è facilmente spiegabile sul piano evolutivo: sono i continuatori della nostra linea genetica. Meno intuitiva è la strategia di partorire cuccioli immaturi come i nostri, il cui cervello si sviluppa per due terzi dopo la nascita. Accudirli per anni durante l’infanzia e l’adolescenza prolungate è un adattamento assai costoso per i genitori e per il gruppo. Gli erbivori nella savana fanno il contrario, accelerano la crescita per non finire predati: i cuccioli appena nati devono alzarsi in piedi in tutta fretta e correr dietro alla madre e al gruppo. Nella fragilità degli infanti umani si nasconde però un vantaggio per il quale val la pena rischiare: i piccoli, ancorché vulnerabili, avranno più tempo per giocare, per imitare gli adulti, per imparare, per sperimentare.
Ora estendiamo il ragionamento. Nel mio gruppo è probabile che vivano molti miei parenti, cioè i possessori di una certa percentuale dei miei stessi geni. Quindi mi conviene essere altruista con i compagni, fino al limite di rischiare la vita, perché in questo modo contribuisco comunque, seppure indirettamente, alla mia discendenza genetica. Questa selezione di parentela ci insegna, un po’ cinicamente, che spesso in natura l’empatia e la cooperazione sono forme sofisticate di egoismo genetico.
Noi umani tuttavia ci prendiamo cura anche di amici che non sono necessariamente nostri parenti stretti. Lo facciamo perché ci aspettiamo una reciprocità: io ti faccio un favore perché so che tu o gli altri del gruppo farete lo stesso con me quando ne avrò bisogno. Se poi il mio gruppo così pieno di compagni empatici diventa più compatto e sconfigge gruppi dove l’altruismo va meno di moda, allora la cooperazione e le cure reciproche si diffondono come una potente strategia di sopravvivenza. Si noti l’ambivalenza della storia: siamo solidali con chi appartiene alla nostra comunità, al nostro «noi», ma perché almeno inizialmente eravamo in conflitto con altri gruppi, cioè con gli «altri da noi».
Le fredde spiegazioni evoluzionistiche si stemperano un po’ quando vediamo la mandibola sdentata di cui parla Guido Tonelli nell’articolo qui accanto e pensiamo a quanta amorevole sollecitudine fu dedicata a un individuo debole e malato che aveva perso la sua autonomia. Possiamo farlo per pura compassione, ma il compassionevole non è autolesionista. Se anziché abbandonarlo al suo destino io curo un mio simile che si è ferito durante una battuta di caccia, lui in cambio potrebbe raccontarmi che cosa è successo e io imparerei a evitare di trovarmi nella stessa situazione. Si chiama apprendimento sociale per via linguistica, cioè ascoltare storie, il segreto della nostra evoluzione culturale. Prendersi cura di un vecchio, nei rigori delle ere glaciali in Europa e in Georgia, significava far tesoro non dei suoi geni, ma delle sue conoscenze.