Corriere 4.12.18
«Noi, maggioranza senza potere»
Le donne e l’idea di un nuovo soggetto politico
di Monica Ricci Sargentini
Le
donne in Italia sono il 51,3% della popolazione, eppure il loro potere è
ridotto al minimo. Sui giornali le firme delle editorialiste si contano
sulla punta delle dita. La politica ormai parla solo al maschile,
soprattutto a sinistra. Le donne sono sparite, messe in un angolo a
guardare. E lo stesso accade nel mondo del lavoro dove sono sommerse da
una scansione dei tempi maschile ben rappresentata dalle riunioni
interminabili cui partecipano. Come uscire dall’angolo? Se lo sono
chieste diverse femministe in un’affollata e molto sentita assemblea
sabato scorso alla Casa Internazionale delle Donne di Roma. «La civiltà è
nella mani delle donne. Oggi più che mai: facciamoci avanti» il titolo
dell’incontro che si proponeva di «ragionare della miseria di una
politica sempre più misogina».
«Abbiamo un’enorme potenza ma non
abbiamo governo — dice Alessandra Bocchetti, una delle figure fondanti
del femminismo italiano —. C’è ancora chi vorrebbe convincerci che siamo
aggiuntive, non indispensabili. Siamo stufe di essere trattate da
minoranza quando siamo la maggioranza».
L’idea è di cogliere lo
slancio del movimento MeToo per buttarsi alle spalle l’icona della donna
vittima e rilanciare la differenza femminile che può portare a un
cambiamento positivo nella società. «Tutto quello che era femminista —
dice Daniela Dioguardi dell’Udi — è stato masticato dal patriarcato e ci
è tornato contro. L’affido condiviso, per esempio, è nato dal nostro
desiderio di condividere la genitorialità ed è stato tramutato da Pillon
in un’arma contro le madri. Con lo slogan “né puttane né madonne” non
intendevamo certo rendere la prostituzione un lavoro né abbiamo mai
pensato all’autodeterminazione come a un commercio di pezzi di corpo
femminile». «Gli uomini non sono consapevoli della differenza — dice la
presidente di Arcilesbica Cristina Gramolini — pensano che essere uomo e
essere donna sia la stessa cosa. I maschi trovano nella prostituzione
soddisfazione, tutto il sesso è buon sesso».
Nella sala Carla Lonzi
parlano anche le nuove generazioni. Martina Caselli, 29 anni, dei
collettivi Dipende da noi donne, detta l’agenda delle questioni: «Siamo
contro la tratta e la prostituzione, contro la mercificazione del corpo,
contro le mistificazioni queer, è difficile chiamarsi femministe se si
pensa che le donne non esistano». Arianna di Vitto, 30 anni, del gruppo
RadFem Italia, denuncia l’occupazione maschile in Non Una di Meno: «È
come se il patriarcato si fosse camuffato da femminista».
Tutte
chiedono azioni da tradursi nella nascita di un nuovo soggetto politico.
C’è chi pensa già alle europee come Roberta Gasparetti della Rete delle
donne per la rivoluzione gentile: «Parliamo alla maggioranza delle
italiane, possiamo contare». «Nominiamo la differenza, proponiamo un
nuovo patto» dice Gramolini. «Sfidiamo il politicamente corretto e
cominciamo a dire la verità su come sono organizzati i luoghi di lavoro,
sulle politiche del biomercato — è la proposta di Marina Terragni che
ha appena pubblicato il libro Gli uomini ci rubano tutto —. È il salto
quantico che produrrebbe la rivolta come la intendeva Carla Lonzi, cioè
del tutto incruenta, per riportare nel giusto ordine, a camminare sulle
proprie gambe, tutto ciò che è stato rovesciato e che non cammina più».