Corriere 27.12.18
L’omelia del ’78 di Ratzinger
«Un mondo senza dolore non è umano
Ecco perché Karl Marx aveva torto»
di Joseph Ratzinger
Il tempo di Natale: Dio ha scelto di condividere con gli uomini il peso della vita
«C
onsolate, consolate il mio popolo!» (Is 40,1). Questo abbiamo appena
ascoltato dalla voce del profeta Isaia. Queste grandi, antiche parole di
speranza e di fiducia del popolo d’Israele, toccano sempre di nuovo il
cuore. All’interno della storia dei profeti suonavano nuove: all’inizio,
al tempo dei Re — a partire da Elia e, passando per Amos, Osea e
Michea, fino a Isaia e Geremia — i profeti erano stati soprattutto
ammonitori duri ed esigenti che, a difesa della causa dei dimenticati,
delle vedove, degli orfani e dei poveri, scuotevano la coscienza degli
ipocriti, potenti e sicuri di sé con la loro giustizia esteriore. Si
ascoltavano parole inquietanti e sconvolgenti come queste: «Le vostre
feste, le vostre preghiere non le posso più sentire, non posso più
sopportare l’odore del vostro incenso. Il digiuno che voglio è piuttosto
rendere giustizia all’orfano e alla vedova» (cfr. Is 1,11-17).
Alla
fine della lunga serie di ammonitori che scuotono, sta Geremia, il
quale, contro l’ostinato nazionalismo che vuole appropriarsi di Dio e
strumentalizzarlo, si leva con le ragioni della fede e diviene martire.
Seguì il grande silenzio dell’esilio babilonese. Ma dopo settant’anni,
dopo che Israele era stato schiacciato e sembrava quasi cancellato, si
sente questa voce del tutto nuova! «Basta soffrire. La grande potenza,
che vi ha deportato, non c’è più». Si riaprono le porte della patria. La
steppa si muta in strada e ora i calpestati, i vinti, alla fine sono i
veri vincitori. Dio si è ricordato di loro, ed egli è più potente delle
grandi potenze di questo mondo, anche se è lui a scegliere il momento
nel quale intervenire. «Consolate il mio popolo!». Dio non dimentica i
sofferenti, ma li ama e li solleva.
Per quanto questo ci commuova e
ci tocchi il cuore, permane in noi una qualche obiezione o perlomeno
una domanda: questa consolazione non è troppo lontana nel tempo? E non
ha forse ottenuto troppo poco? Ben presto Israele stesso è caduto di
nuovo in disgrazia. E se oggi osserviamo il mondo, non mancano immagini
di desolazione che ci toccano.
Proprio quando vediamo come domini
in mezzo ai popoli benestanti la desolazione, tanto più ci domandiamo:
«Signore, dov’è la tua consolazione?». Ma forse tanto più comprendiamo
che abbiamo bisogno della Chiesa, che con piena autorità oggi può
pronunciare nel nome del Signore le parole di allora: «Consolate il mio
popolo!». È lei che dà la vera consolazione.
La Chiesa, nel corso
del suo anno liturgico, ripercorre l’intera storia della salvezza. Per
molte settimane si presenta a noi con l’atteggiamento di Osea o di Elia:
e cioè ammonendoci, scuotendoci, esortandoci, volendo strapparci dal
nostro egoismo, dalla nostra avidità, dal nostro autocompiacimento. Ma
nell’Avvento giunge l’ora del Dio buono, del Dio che consola. Diviene
evidente che la Chiesa non è solo un’agenzia morale, un’organizzazione
umanitaria, che essa non esige solo il rispetto di vari precetti, indica
bisogni e pone richieste, ma che è lo spazio della grazia, in cui Dio
le va incontro soprattutto come colui che dona e che dà. Ma dove si
trova questa consolazione? Dio come consola in realtà?
Il primo
livello consiste nel fatto che siamo chiamati. Egli desidera che
irradiamo la luce della fede che ha posto nei nostri cuori e così
riscaldiamo il mondo. Egli vuole consolare attraverso di noi e ci fa
sapere che egli ama in particolar modo proprio gli afflitti, gli
sconsolati, che s’identifica con loro e in essi attende noi e la nostra
bontà. Il nome dello Spirito Santo è «Consolatore». Dio ci aiuta nello
Spirito Santo tanto più quanto più siamo uomini che consolano, uomini di
una bontà che consola. Questo significa anche che noi non dobbiamo
essere come quelli per i quali la piccola consolazione della vita
quotidiana è troppo poco e che dicono: no, questo sistema deve essere
trasformato, abbiamo bisogno di un mondo nel quale la consolazione non
sia più necessaria; ovvero, come ha detto Brecht esasperando il
concetto: «Vogliamo un mondo nel quale non ci sia più bisogno di amore».
Un mondo così, però, nel quale non c’è più bisogno di consolazione,
sarebbe un mondo desolato; un mondo in cui l’amore non fosse più
necessario, perché il sistema provvede già a tutto, sarebbe un mondo
disumano. Dio vuole consolare attraverso di noi.
Ma invece, di
continuo si solleva il sospetto che siano solo parole, promesse
consolatorie. Chiediamoci allora: che cosa avviene quando un uomo
consola un bambino a cui è morta la mamma? Non può annullare quella
morte, non può cancellare il dolore da essa provocato, non può
magicamente trasformare il mondo con ciò che esso ha di triste. Può però
entrare nella solitudine generata dall’amore distrutto, che è
l’autentico motivo del dolore, come uno che condivide il dolore e dà
amore. Così, pur non potendo cancellare l’accaduto, non è un parolaio;
se penetra, amando, nella solitudine dell’amore perduto, trasforma
dall’interno, sana all’origine, sana l’essenziale. E non c’è alcun
dubbio che, se egli veramente condivide il dolore e dà amore, allora le
sue non saranno solo parole.
Dio non ha operato — come noi
sogneremmo e come poi Karl Marx ha gridato a gran voce al mondo — in
modo da far scomparire il dolore e cambiare il sistema, così che non ci
sia più bisogno di consolazione. Questo significherebbe toglierci
l’umanità. Ed è quello che nel segreto desideriamo. Sì, essere uomini ci
è troppo pesante. Ma se ci venisse tolta la nostra umanità, smetteremmo
di essere uomini e il mondo diverrebbe disumano. Dio non ha operato
così. Ha scelto un modo più sapiente, più difficile, da un certo punto
di vista, ma proprio per questo migliore, più divino. Egli non ci ha
tolto la nostra umanità, ma la condivide con noi. Egli è entrato nella
solitudine dell’amore distrutto come uno che condivide il dolore, come
consolazione. Questo è il modo divino della redenzione. Forse possiamo
capire nel modo migliore che cosa significhi cristianamente redenzione a
partire da qui: non trasformazione magica del mondo, non che ci viene
tolta la nostra umanità, ma che siamo consolati, che Dio condivide con
noi il peso della vita e che ormai la luce del suo condividere l’amore e
il dolore sta per sempre in mezzo a noi.