Corriere 27.12.18
Il primo stop per la Lega i delusi del m5s
Il Carroccio sfiora il 33% (-3,3 in un mese), il Movimento al 27%. Ma il governo tiene
di Nando Pagnoncelli
L’anno
che finisce ha segnato profondi sconvolgimenti del panorama politico
del nostro Paese. I risultati delle elezioni del 4 marzo segnano una
frattura storica. Non solo per l’affermazione netta dei 5 Stelle e il
successo leghista, quanto soprattutto per la sconfitta pesante delle due
forze che hanno segnato la storia politica post Tangentopoli, Forza
Italia da un lato, il Pd (nelle sue varie forme, da Ds e Margherita
all’Ulivo) dall’altro. In sostanza le recenti elezioni segnano in
qualche modo l’uscita di scena delle culture riformiste di cui queste
formazioni erano eredi.
La nascita del governo Conte, frutto di
una lunga e complessa gestazione, segna, per la prima volta tra i grandi
Paesi europei, l’affermarsi di un esecutivo fuori dalle tradizioni.
Portando a compimento processi di lungo periodo, che potremmo così
riassumere: Il distacco élite/popolo, che appare nei primi anni 80, con
la progressiva modernizzazione e secolarizzazione del Paese;
l’individualizzazione, per cui il singolo diviene misura delle cose e
compie quella torsione che fa sì che le opinioni del cittadino comune
valgano quelle dello scienziato di fama; il presentismo, ovvero il
progressivo appannarsi della memoria storica, spesso delegata al web o a
strumenti esterni e non più, o sempre meno, raccontata e rinfrescata
dalla politica e dalle forze intermedie; il direttismo, che consente al
navigatore di confrontarsi direttamente con i leader e con i politici,
in quel processo che elimina le intermediazioni e rende il politico
specchio del cittadino; la semplificazione del linguaggio, portato dei
precedenti, che richiede brevità, velocità, appunto semplicità.
Entriamo
quindi in un nuovo mondo. Cerchiamo di vedere cosa è successo. Partiamo
proprio dal governo e dal premier. I dati di consenso sono decisamente
elevati. Il governo Conte parte bene con un indice di gradimento (60)
vicino a quelli degli altri esecutivi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi),
in luglio sale a 68 e a sei mesi dall’insediamento ritorna a 60
superando, alla stessa data, sia Berlusconi sia Renzi, anche grazie a un
consenso più ampio di cui beneficiano le forze della maggioranza (60%
dei voti validi). Tra settembre e oggi la perdita è di cinque punti. Non
pochissimo, ma comunque meno degli altri. Il premier segue un percorso
simile a quello del governo, rimanendo però sempre qualche punto sopra
il dato del governo stesso. È come se gli italiani gli riconoscessero un
ruolo di tenuta, di coagulo, sin dall’inizio. È il garante del
contratto di governo ed è un ruolo che si è enfatizzato nella recente
trattativa con l’Ue sulla manovra. A ciò si aggiunge lo standing
istituzionale, a cui gli italiani si mostrano sempre attenti
(soprattutto nei consessi internazionali), pur non disdegnando lo stile
non convenzionale e talora aggressivo di altri della maggioranza.
I
vicepremier hanno valutazioni che si vanno divaricando a favore di
Salvini. Partiti appaiati all’insediamento del governo, i due vedono
progressivamente allontanarsi i loro risultati. Di Maio scende dal 58 di
luglio all’attuale 43, perdendo ben 15 punti. Salvini al contrario è
riuscito a mantenere continuativamente il proprio consenso attorno al 60
fino a novembre, diminuendo di 4 punti a dicembre (56). Le difficoltà
del M5S derivano da molti aspetti: l’impossibilità di mantenere alcuni
impegni presi esplicitamente in campagna elettorale, in particolare
sulle grandi opere; la complessa gestione della tragica vicenda del
ponte Morandi; le diffuse resistenze rispetto al provvedimento
principale del Movimento, il reddito di cittadinanza. Infine la
complessità degli ambiti che fanno capo al M5S, difficili da gestire e i
cui risultati potranno essere verificati in tempi non brevi. Salvini al
contrario si è intestato aree più «semplici», comunque più immediate,
prima fra tutte l’immigrazione. Che individua un «nemico», consente
comunicazioni più dirette, salda malumori diffusi.
Dopo sei mesi
Conte mantiene i consensi al 60%, più dei precedenti esecutivi. Fiducia
in forte calo per Di Maio (43%), Salvini al 56%
L’andamento delle
intenzioni di voto indica tendenze simili per i due partiti di governo.
La Lega quasi raddoppia i propri consensi rispetto al risultato del 4
marzo, attestandosi al 32,9 per cento. Ma evidenzia i primi segnali di
rallentamento. Solo un mese fa era accreditata al 36,2%, oltre tre punti
in più degli attuali. Non è un rallentamento da poco. Se il «Capitano»
rimane saldamente in sella, il partito risente invece di alcune
difficoltà. La più evidente è il rapporto che il governo intrattiene con
i ceti produttivi del Nord e del Centro-Nord. Reddito di cittadinanza,
blocco delle grandi opere (in questi giorni si aspetta il verdetto
annunciato contro la Tav), difficoltà a procedere speditamente verso la
crescita dell’autonomia delle regioni settentrionali, non depongono a
favore della Lega, che perde consensi nel lavoro autonomo, uno dei suoi
capisaldi. Non a caso in queste ultime settimane il gruppo dirigente
leghista e lo stesso Salvini hanno lanciato segnali in questa direzione,
in qualche caso con polemiche non velate nella stessa compagine
governativa. A queste domande la Lega è chiamata a rispondere in tempi
rapidi, soprattutto di fronte allo scenario economico che non promette
bene.
Il M5S è in difficoltà più evidenti. Se per la Lega è
l’interruzione di un’ascesa eclatante, per i pentastellati il logorio
invece continua. Oggi sono accreditati del 27%, cinque punti sotto le
Politiche (-0,7% rispetto a novembre). La flessione è da ricondurre
innanzitutto alla grande trasversalità del suo elettorato che
rappresenta un enorme vantaggio stando all’opposizione, ma una grande
complicazione quando si sta al governo: ogni provvedimento infatti
rischia di scontentare una parte dell’elettorato che esprime attese
molto diversificate e non sempre compatibili. Non a caso i delusi che
hanno abbandonato il Movimento si sono rifugiati nell’incertezza o
nell’astensione (circa il 20% dell’elettorato del 4 marzo) o hanno
scelto la Lega (12%).
Il Pd sembra aver frenato la discesa e si
attesta su un risultato analogo a quello delle Politiche (è al 18,1%).
La campagna delle primarie ha riportato il partito sui media. Per quanto
non entusiasmante e molto interna, fatta com’è di una battaglia
prevalentemente di posizionamento, ciò ha prodotto qualche risultato.
Bisognerà vedere se ci saranno le condizioni per una ripresa dopo le
primarie. Forza Italia, oggi all’8%, si è quasi dimezzata rispetto al
voto politico. Come indicano i flussi, il suo elettorato è stato
cannibalizzato dalla Lega. I temi che questa formazione ha di fronte
sono complessi. Si tratta di ridefinire la leadership e di individuare
un’area che non sia «coperta» dalla Lega.
La luna di miele non si è
ancora conclusa e il governo rimane saldamente in sella, nonostante le
diversità di visione, gli ostacoli incontrati, la difficoltà sulle
principali misure. Questo anche perché non esistono alternative. Che,
per essere costruite, richiedono un cambiamento profondo, culturale, di
classe dirigente, di capacità di rappresentanza sociale oggi più che mai
problematica, a fronte di un crescente processo di frammentazione che
genera categorie diverse rispetto al passato. E tra le tante incognite
affiora una certezza: indietro non si torna.