Corriere 22.12.18
Dentro il Senato smarrito
Bonino in lacrime
E Napolitano: «Parlamento umiliato»
La senatrice: non avete il senso delle istituzioni
di Fabrizio Roncone
Prima
impressione entrando nel salone Garibaldi, il transatlantico di Palazzo
Madama: si è messa male, malissimo. Nessuna traccia del
maxiemendamento, e sono già le cinque del pomeriggio. Seduta sospesa,
buvette affollata (visto un grillino piuttosto famoso spararsi tre
prosecchi uno dietro l’altro: le mani nel vassoietto delle noccioline,
le guance rosse, una pena). Dalla buvette, sobrio, esce il senatore
forzista Maurizio Gasparri.
«Le piace?».
Cosa?
«La mia cravatta. È il primo regalo di Natale che ho ricevuto. È la cravatta numero 516».
Le conta?
«Certo che le conto. Le colleziono… Ma perché, scusi, mi guarda così?».
C’è un’atmosfera surreale.
«No, non c’è niente di surreale. C’è, piuttosto, un governo un po’ arrogante e un po’ incapace».
Lei dice che…
«Io
dico che prima calpestano il Parlamento, la democrazia. E poi ci
lasciano qui, inermi, ad aspettare un testo sul quale, com’è chiaro, Di
Maio e Salvini stanno ancora litigando furiosamente».
A questo punto, Gasparri si volta verso Alessandro De Angelis di Huffington Post, e gli fa: «Come finisce questa storia?».
Il
livello è questo. La verità è che nessuno sa, nessuno prevede. I
senatori di Forza Italia e Pd che - diciamo (cit. Massimo D’Alema) -
sono all’opposizione, ne sanno quanto i commessi; i senatori di Lega e
M5S, che invece qualcosa dovrebbero sapere, sono come sempre tagliati
fuori da tutte le decisioni che prendono i loro grandi capi.
Passa
Gianluigi Paragone (ex direttore del quotidiano leghista La Padania, è
poi riuscito a farsi eleggere senatore dal Movimento 5 Stelle: nel
genere, un fuoriclasse) e prova a buttarla sul ridere: «Il
maxi-emendamento lo porterà dal Guatemala Alessandro Di Battista la
notte di Betlemme» - ma non ride nessuno, anzi: Vito Crimi, il
sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega
all’Informazione, attacca a parlare del figlio di sette mesi.
Sarebbe
da andarsene. Sensazione forte: essere in un posto sbagliato, inutile.
Ma un pomeriggio così non puoi perdertelo, perché resterà tra le pagine
più cupe della Repubblica.
Cupe, poi: poco fa, il gruppo del
Partito Democratico si è riunito sorridente in foto (non si capisce se
natalizia o solo ricordo). Chiaramente finto il sorriso di Matteo Renzi,
in sovrappeso. Colleziona pranzi e cene, ascolta, cerca di capire gli
spazi possibili del nuovo partito che ha in mente. Il sito Dagospia l’ha
pizzicato a pranzo con Carlo Calenda. Calenda si è alzato entusiasta, i
senatori del Pd, in larga parte di stretto rito renziano, hanno invece
sguardi dubbiosi dai quali capisci che il maxiemendamento è l’ultimo dei
loro (grossi) problemi.
Ovviamente però Andrea Marcucci partecipa
alla riunione dei capigruppo. Solo che la riunione è stata appena
sospesa. Pare per consentire un mini-vertice della maggioranza (dicono
sia presente anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento,
Riccardo Fraccaro).
Molti senatori leghisti e grillini camminano basiti. Nei loro discorsi: guizzi di stupore e curiosità.
Ma che succede?
Tu ci capisci qualcosa?
Boh.
Io figurati che un anno fa facevo l’insegnante.
Comunque è un casino.
Mi sa.
No, niente: nemmeno a Stefano hanno detto niente.
Stefano
Patuanelli, il capo del battaglione grillino, è una persona mite e
prudente. Un altro, al posto suo, in questo pozzo di silenzi, in questo
pneumatico vuoto di autorevolezza, avrebbe fatto l’inferno. Ma lui è
ancora un fedelissimo di Di Maio, e altri ce ne sono ancora, qui a
Palazzo Madama. Poi, certo: il bevitore di prosecchi prima s’è lasciato
sfuggire che «quando ho sentito Giggino ad Agorà parlare di Mattarella
come del custode di questo governo, dopo che qualche mese fa voleva
rimuoverlo dal suo incarico per alto tradimento, mi sono proprio messo a
ridere» (ecco, con l’alcol sembra si lascino un po’ andare).
Il
pomeriggio assume, con il trascorrere dei minuti, un carattere sempre
più tragico. Dice la presidente del Senato, Elisabetta Alberti
Casellati: «Mi corre l’obbligo di invitare la maggioranza e il governo
ad avere un percorso legislativo più regolare». Poche ore fa, Emma
Bonino si è commossa al termine del suo intervento: «Non avete il senso
delle istituzioni». L’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, fa sapere
che «condivide profondamente l’allarme espresso dalla senatrice Bonino
per la umiliante condizione riservata al Parlamento».
I giri di
parole sono inutili: umiliato, sfregiato, per la prima volta nella
storia della Repubblica, il Parlamento sarà costretto a votare una
manovra economica senza neppure avere il tempo materiale di riuscire a
leggerla.
Sembra infatti che il maxi-emendamento arriverà qui soltanto tra qualche ora.
Sembra.
Probabilmente.
C’è
questa incertezza, questa vaghezza. Come se il passaggio al Senato del
maxi-emendamento deciso da pochi, pochissimi, rappresenti una seccante
formalità.
La manovra del popolo. A chi è venuto in mente di chiamarla così?