Corriere 19.12.18
«L’ho immaginato come una nave
Diventerà un simbolo per tutta l’Italia»
Renzo Piano: mille anni? No, ne durerà duemila
di Giangiacomo Schiavi
N
ei suoi appunti, sui fogli da disegno, ha scritto: il ponte. E basta.
Non c’è un nome. «Si chiamerà il ponte di Genova», dice Renzo Piano.
«Semplice ma non banale. Forte, molto forte, lontano dalla retorica.
Bello, di una bellezza genovese: restìa, parsimoniosa, taciturna».
Questa volta destinato a durare...
«Non mille, ma duemila anni. I ponti non possono crollare».
Si parte da una sua idea e lei farà da supervisore, ha detto il sindaco Bucci.
«Ci
ho lavorato dal 15 agosto, dopo la chiamata del sindaco. Sono onorato
di questo. Oggi si è formata una bella squadra, una squadra molto forte.
Ed è stato un bene che il commissario abbia fatto un confronto sui
diversi progetti».
Altri architetti come Calatrava si sono messi a disposizione, nel caso ce ne fosse bisogno.
«È un bel segnale. La chiamata generale ha alzato l’asticella».
Il ponte manterrà le caratteristiche previste dalla sua idea iniziale?
«Dovrà
ricucire una città divisa, elaborare un lutto, suscitare orgoglio. L’ho
immaginato come una nave, un qualcosa di simbolico che però non deve
perdere il tema della memoria. Questa tragedia ha creato un vuoto
enorme».
Ci saranno i fasci di luce per illuminare la memoria delle 43 vittime...
«Per
non dimenticare. Elaborare un lutto vuol dire farlo proprio, fino a
diventare una parte di te stesso. Bisogna scavare nel profondo di ognuno
di noi, riuscire a creare un nuovo sentimento: non dimenticare ma
trovare la spinta per rinascere».
Lei ha parlato ancora una volta di rammendo.
«A
Genova non ci sono spazi. È stretta tra il mare e le montagne, diceva
lo storico Braudel. Il crollo ha risvegliato il fantasma della città
separata, quella operaia e la Superba. Due mondi che devono tornare
uniti. La ricucitura passa attraverso il ponte, una delle icone
dell’architettura insieme alla piazza. Un ponte è sempre un momento che
unisce».
Per un architetto genovese questo progetto è anche un omaggio alla sua città.
«Un
omaggio alla città che amo e a un luogo che sento intimamente mio. Mio
padre è nato lì, alla Certosa. Da bambino, quando ancora non c’era il
ponte Morandi, mi portava in quel quartiere operoso e nel mio
immaginario quei nomi, Certosa e Valpolcevera, suonavano come luoghi
delle meraviglie».
Spirito civico
Qualche maligno lo ha messo in discussione, ma io confermo che lavorerò
a titolo gratuito
Il suo contributo resta a titolo gratuito?
«Confermo
quello che avevo detto fin da subito e qualche maligno ha messo in
discussione. A titolo gratuito. Ci sono cose che si fanno anche per
spirito civico».
È stato anche detto che i ponti non li fanno gli architetti.
«E
infatti ci sono i tecnici, gli ingegneri. Mi è capitato di fare ponti
in Giappone nell’arcipelago di Amakusa, a Sarajevo, a Chicago. Forse
qualcuno ha pensato che fossi a caccia di incarichi... Ma alla mia età
non vado in cerca di notorietà».
Tre mesi fa aveva detto: bisogna fare rapidamente ma senza fretta. Basteranno dodici mesi?
«I
tempi saranno più o meno questi. Ma io credo che questo cantiere dovrà
essere soprattutto un laboratorio, anche per l’Italia. Un cantiere è
sempre un momento straordinario, di grande energia».
Genova ha bisogno di ritrovarsi, dicono il sindaco Bucci e il governatore Toti, di una rapida ripartenza.
«Genova
non si è mai persa e non si è mai data. Ha un orgoglio immenso. In
questo ponte si deve riconoscere. Serve un momento positivo per
contrastare l’immagine distruttiva del crollo, il dramma di tante
famiglie, lo smarrimento e la paura».
Basterà la partenza di questo cantiere?
«Ogni
ricostruzione è un atto di fiducia. Ma ricostruire è anche un gesto di
pace. Un momento in cui le diversità si mettono via, si devono mettere
via. Oggi è il momento di una forte solidarietà. Io ho vissuto a Berlino
un cantiere con cinquemila operai, un altro analogo l’ho vissuto a
Tokyo. Ogni volta si è creato un clima straordinario, perché stai
costruendo insieme ad altri qualcosa di importante, qualcosa che unisce
persone e mondi».
La semplicità del progetto ha fatto storcere il naso a qualcuno.
«Semplicità
non vuol dire banalità. Questa è un’opera che nasce dall’entusiasmo,
dalla voglia di rinascita. E io l’ho immaginata pensando a Genova,
solida, concreta, poco appariscente, forte dentro...»
Genova che
somiglia a quella del poeta Caproni (Genova illividita/ Inverno nelle
dita/ Genova mercantile/ Industriale, civile/ Genova che mi
struggi/Intestini, Caruggi/ Genova sempre nuova/ vita che si ritrova...)
«...Genova
che oggi rappresenta l’Italia, e può diventare un laboratorio per
l’intero Paese, capace di rimettere in moto quel percorso di
manutenzione di cui abbiamo tanto bisogno. Il nuovo ponte è un simbolo,
un segno di unità e un messaggio di positività».