Corriere 17.12.18
Marc Schneier, da Manhattan a Dubai
Il rabbino dei divi e la sua tela (segreta) con i Paesi del Golfo per conto di Israele
di Davide Frattini
Tel
Aviv Per festeggiare i cinquant’anni la quarta moglie gli ha regalato
un leone. O almeno il privilegio di dare al re della foresta il suo nome
— rabbino Marc — in cambio di una generosa donazione allo Zoo biblico
di Gerusalemme per carne cruda a volontà. Da allora Marc Schneier si è
sposato altre due volte e ha attraversato qualche controversia tirando
dritto come alla parata musulmana dell’anno scorso a New York o quando
ha deciso di cooperare con un’organizzazione islamica americana
considerata vicina ad Hamas.
Schneier è cresciuto in una delle
famiglie ebraiche più conosciute di Manhattan, fino a diventare uno dei
50 rabbini più influenti d’America secondo la rivista Newsweek e quello
che i giornali chiamano «il rabbino dei divi». Scende dal pulpito per
parlare con tutti: è consigliere spirituale di Russell Simmons — tra i
padri dell’hip hop, cristiano, vegano e attivista contro l’islamofobia —
e pure di Steven Spielberg, il regista di origine ebraica. Attraverso
la sua Foundation for Ethnic Understanding, ha intessuto relazioni con
le monarchie del Golfo da almeno dodici anni, molto prima che i timori
comuni per l’espansionismo iraniano avvicinassero gli emiri del petrolio
a Israele.
Da Tel Aviv passa spesso perché – dice – «da qui è più
comodo volare in Giordania e da lì verso i sei Paesi arabi», dove è
stato in visita anche tre settimane fa. I suoi viaggi creano quello
spazio comune tra Israele e i regni sunniti che il premier Benjamin
Netanyahu considera il futuro della regione. Ci crede anche il rabbino
Schneier e si azzarda a pronosticare che l’anno prossimo «almeno una
nazione del Golfo, forse due, avvierà le relazioni diplomatiche con
questo Paese. C’è una corsa a essere il primo Stato a metterci la firma.
Questa volta senza incatenare il gesto a un accordo con i palestinesi: è
sufficiente veder ripartire il dialogo». Scommette sul Bahrain.
Nell’affanno
geopolitico di mantenere l’Arabia Saudita al suo fianco — anche se per
ora attraverso canali segreti — Netanyahu ha definito «orrenda»
l’uccisione del giornalista e oppositore Jamal Khashoggi per poi
aggiungere: «Ma la stabilità a Riad è fondamentale per la stabilità del
mondo». Un sostegno a Mohammed bin Salman che Daniel Shapiro, ex
ambasciatore americano in Israele, giudica «un errore strategico».
Schneier non entra nei labirinti di governo, spiega le motivazioni
ascoltate nei palazzi del Golfo a costruire un’alleanza che sembrava
impossibile. «La prima ragione è economica: agli emiri interessano le
tecnologie israeliane. Secondo punto: far fronte comune contro gli
ayatollah sciiti, considerati una minaccia esistenziale. Terzo: creare
un legame ancora più stretto con Donald Trump. Così arriviamo al 4°
elemento: una volontà di colmare la frattura tra le religioni».
Soprattutto
verso l’ebraismo. «In Qatar mi hanno chiesto consigli su come
accogliere i numerosi visitatori ebrei attesi per il Mondiale di calcio
nel 2022». La nuova diplomazia del Medio Oriente entra anche nelle
cucine degli alberghi a Doha dove gli chef stanno imparando a cucinare
kosher, rispettando le regole dettate dai rabbini.